REPUBBLICA E COSTITUZIONE

a) Premessa


Tra le sue primarie finalità l'Associazione Giuristi Democratici vanta la difesa della Costituzione delle Repubblica, la promozione della sua attuazione e la diffusione della conoscenza dei suoi principi e valori. Noi vogliamo che il sistema democratico nel quale siamo cresciuti e ci siamo formati come cittadini, diventi patrimonio dei nostri figli; non potremmo fare loro regalo più grande che contribuire a preservare il prezioso lavoro delle donne e degli uomini che hanno fondato la Repubblica nata dalla resistenza.

Quella italiana è una Costituzione condivisa ed è il risultato di una esperienza e di un percorso storico, politico e culturale.

Storico, perché segna la presa di coscienza di un popolo nei confronti della dittatura fascista, della guerra, e dell'occupazione nazifascista. La Costituzione segna il punto di arrivo della consapevolezza della unità nazionale, dal percorso risorgimentale, dalla formazione di uno stato unitario portatore dei principi di libertà, di uguaglianza formale e di laicità, fino al raggiungimento dei principi di uguaglianza sostanziale di solidarietà/fratellanza nel rispetto della dignità e della realizzazione individuale della persona umana, nell'ambito dei diversi contesti sociali.

Politico, perché segna i principi condivisi tra i principali filoni di pensiero sviluppatisi nell'ultimo secolo di storia, liberale, liberalsocialista, socialista e comunista e cristiano sociale e cattolico nonché la condivisione di essi tra le diverse componenti sociali presenti nel Paese.

Culturale, perché tutte le componenti sociali, consapevoli di non voler ripetere gli errori e gli orrori del passato, hanno inteso affermare i principi di solidarietà ed il rispetto formale e sostanziale dei diritti e della dignità umana, in senso universale, nei confronti di tutti i popoli e di tutte le persone, affermando il ripudio della guerra per la risoluzione delle controversie internazionali.

Da questo fondamentale punto di partenza, da difendere e tutelare, si può e si deve partire per riconoscere, affermare e tutelare i nuovi diritti, che permetteranno un rilancio del senso di solidarietà delle nostre comunità.

b) Sistema istituzionale


In termini politico istituzionali, i Giuristi Democratici lavorano per il rafforzamento dei bilanciamenti costituzionali e per la rigorosa separazione dei poteri.

Ciò che appare utile da difendere e da potenziare, tra le altre cose, è infatti un modello dove poteri istituzionali e poteri di governo siano separati.

Il quadro tradizionale prevedeva una suddivisione di tre poteri (giudiziario, legislativo e esecutivo). Una democrazia compiuta non può fondarsi solo su questa tripartizione.

Da un lato va integrata con il riconoscimento di un potere partecipativo, del popolo e delle sue espressioni organizzate.

In tal senso deve essere valorizzato il concetto di isonomia.

Come molti ricordano, ad Atene, prima del concetto di democrazia, ossia governo del demos, si impone un concetto ben più pregnante, quello di isonomia. Dal greco isos: \“uguale\” e nomos. Tradizionalmente si traduce questo concetto come uguaglianza davanti alla legge. Ma non è corretto.

Infatti nomos viene dal verbo greco νέμω (“nemo”) che significa “distribuisco”, “faccio le parti”. Tanto che l'etimologia di nomos è la stessa di numero (ossia *parte)*. Il concetto di isonomia, quindi è quello di eguale ripartizione. Il sistema isonomico quindi è il sistema che garantisce una corretta ed eguale ripartizione.

Il concetto, anche di recente è stato adoperato in riferimento alla corretta ed equa ripartizione del potere pubblico (o della partecipazione al potere pubblico).

“*Questa operazione è tutta ispirata dal principio di isonomia, in base al quale tutti hanno diritto alla stessa quota di sovranità”… Vi è una forte correlazione logica e materiale, infatti, tra l'apposizione di limiti al potere e la libertà e l'uguaglianza, tra una giuridicità diffusa e una democrazia: per questo la democrazia può essere indicata come «un regime nel quale si riconosce al cittadino, ad ogni cittadino, la capacità di creare diritto» e che «non afferma solo il principio della pari dignità di ogni cittadino, ma della sovrana pari dignità di tutti i cittadini*» *(7 C. ESPOSITO, Commento all'art. 1 della Costituzione)“*[^1]*.*

Nel contempo, e sempre in questo quadro, va separato dai tre poteri tradizionali, il potere istituzionale. Un potere arbitro, e garante di tutti gli altri poteri, così come delle regole costituzionali.

Anche per tale ragione i Giuristi Democratici hanno sempre espresso contrarietà al modello costituzionale presidenziale.

c) Sistema elettorale


Nessun tema più della legge elettorale coinvolge il principio democratico.

Anche il potere elettorale popolare deve incontrare dei limiti, si deve scongiurare quella che è stata definita la 'dittatura della maggioranza'.

L'obiettivo deve essere quello di lavorare per una messa in sicurezza ulteriore della nostra Costituzione, affinché essa stessa sia a riparo da modifiche in mano alla estemporanea maggioranza, e affinché si implementino i bilanciamenti ed i contropoteri, autonomi rispetto al governo di turno.

Una riflessione moderna sulla democrazia deve infatti considerare che il corpo elettorale esprime l'interesse degli elettori attuali e raramente prende in considerazione i problemi futuri (ad esempio si veda il degrado ambientale).

Inoltre l'attribuzione di tutto il potere (governativo e legislativo) in un singolo momento elettorale plebiscitario non è prudente. È all'interno di una tale riflessione che occorre valutare in concreto i singoli istituti e contrappesi della democrazia rappresentativa[^2].

Il Parlamento deve rappresentare tutti ed essere uno specchio del Paese. Le distorsioni sono antidemocratiche.

Negli ultimi anni i sistemi elettorali (ad esempio il “Rosatellum”), pur presentando alcuni aspetti positivi, quali la visibilità dei candidati nel collegio uninominale, hanno sostanzialmente deluso le aspettative che avevano suscitato. Si è prodotta una artificiale rarefazione dell\'offerta politica (e quindi della possibilità dei cittadini di essere rappresentati), provocando una conseguente rarefazione della rappresentanza sociale, senza raggiungere i risultati promessi in termini di riduzione della frammentazione. Infatti non è diminuito il numero dei partiti, né il potere delle loro burocrazie, né la loro litigiosità, né i cittadini si sono avvicinati ai loro rappresentanti. Anzi è stata favorita una torsione oligarchica del sistema politico, favorendo il congedo delle classi popolari dalla politica, ridotta ad una gara di opinioni e di potere, con molti spettatori e sempre meno protagonisti.

Ne è scaturita una rendita di posizione per i dirigenti dei principali partiti politici, i quali venivano esonerati dalla concorrenza dei partiti minori e favoriti dalla rarefazione forzata dell'offerta politica.

Gli effetti delle leggi elettorali restrittive si sono intrecciati con il taglio di un terzo dei parlamentari, generando un sistema che premia oltremodo chiunque abbia anche la più piccola maggioranza. Le liste che godono e godranno, nei singoli territori, anche di una piccola maggioranza conquisteranno una larga maggioranza nazionale dei seggi. Una maggioranza sproporzionata rispetto ai voti ottenuti.

Ad esempio, la legge elettorale oggi in vigore può consentire ad una coalizione di conquistare gran parte dei collegi uninominali, puntando ad eleggere i 2/3 dei parlamentari. Un numero che permetterebbe un'agevole modifica del testo costituzionale e impedirebbe di chiedere il referendum popolare per impedire le modifiche della Costituzione.

Le norme in vigore per la modifica della Costituzione (art 138) furono, infatti, scritte in presenza di un sistema elettorale proporzionale e non sono mai state modificate per impedire che il maggioritario mettesse la Costituzione nelle mani di una minoranza di elettori per effetto di meccanismi elettorali premiali.

I moniti di chi scrive e dei più avveduti costituzionalisti, purtroppo, sono caduti nel vuoto. A questo punto, essendo caduti inascoltati gli appelli a cambiare la legge elettorale, è necessario un nuovo richiamo.

L'Associazione dei Giuristi Democratici propone quindi di tornare ad un sistema elettorale proporzionale puro. Ovviamente taluni modesti correttivi possono essere apportati.

I fautori degli sbarramenti, impliciti ed espliciti, affermano che questi rispondevano a due esigenze. Da un lato quella della governabilità: aiutare le forze maggiori a crescere, favorirebbe la formazione di maggioranze stabili. Nel contempo fornirebbe una buona motivazione alle forze minori ad aggregarsi, superando una rissosità interna che, talora, era legata a ragioni difficilmente comprensibili agli elettori.

A queste argomentazioni, però, se ne contrappongono altre, non meno valide.

Una di principio: il Parlamento è il luogo della rappresentanza e la legge elettorale non dovrebbe servire a indurre comportamenti virtuosi. Il sistema elettorale deve comportarsi come un buon traduttore: qualunque cosa dica chi è tradotto, certamente non è compito del traduttore correggerlo.

Peraltro, il difetto delle riforme dei sistemi elettorali consiste sempre nel fatto che sono promosse da chi governa in un determinato momento storico ed è chiaro che chi governa porta acqua al proprio mulino.

Insomma, in un paese in cui la cultura democratica è consolidata, e che vuole evitare una alterazione strumentale della rappresentanza politica, la legge elettorale è super partes, condivisa ed equa.

Si può prevedere uno sbarramento per formazioni molto piccole, non tanto perché non meritino di essere rappresentate, ma per favorire le aggregazioni.

Si può ipotizzare qualche piccolo premio implicito alle formazioni maggiori, ma l'essenza deve essere quella per cui la rappresentanza politica deve aprirsi, per rilanciare il senso di appartenenza e partecipazione dei cittadini. Non è chiudendo il Parlamento alla rappresentanza che si garantisce la governabilità del paese. Periodicamente riaffiora, invece, la proposta di una riforma elettorale che attribuisca la maggioranza dei seggi ad una minoranza, attraverso artifizi vari. Elezioni che conferiscano tutto il potere ad una forza politica, o meglio ancora ad un singolo gruppo dirigente.

Non è pensabile governare contro la maggioranza del popolo, non solo per ragioni democratiche, ma perché la storia insegna che si tratta di esperienze improduttive.

Sotto altro profilo, si è osservato che la rissosità di corrente, interna ai partiti è addirittura superiore a quella tra i partiti della coalizione di governo. Dunque introdurre soglie, ed indurre a aggregazioni posticce non migliora l'armonia delle forze che sostengono l'Esecutivo, né riduce il potere di ago della bilancia, di piccole formazioni di deputati.

d) Misure per la parità elettorale di genere


Il principio di parità tra i sessi si configura, dunque, come irrinunciabile elemento costitutivo di qualsivoglia sistema statale costruito sui principi di libertà ed uguaglianza e proteso al buon funzionamento delle sue istituzioni[^3].

Su questo presupposto, il legislatore è intervenuto con più riforme costituzionali, al fine di permettere l'inserimento nel sistema elettorale italiano di strumenti volti a correggere le disparità di genere all'interno delle assemblee rappresentative.

Dapprima con la legge costituzionale n. 2 del 2001, e poi con le leggi costituzionali n. 3 del 2001 e n. 1 del 2003, sono state poste le basi per ogni successivo intervento normativo in tal senso, il cui spirito è sintetizzato nel nuovo capoverso del primo comma dell'articolo 51 della Costituzione (“*La Repubblica promuove, a tale fine, le pari opportunità tra donne e uomini*”) e nel settimo comma dell'articolo 117 (“*Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive*”).

Da quel momento, tutte le riforme volte ad inserire strumenti che facilitassero un riequilibrio della rappresentatività di genere, hanno superato il vaglio di Costituzionalità, sino a giungere all'attuale disciplina contenuta nella legge n. 165 del 2017 (il già richiamato *Rosatellum*).

Il Rosatellum è un sistema elettorale misto, con prevalenza della componente proporzionale.

Il 37,5% dei seggi è assegnato con sistema maggioritario uninominale a turno unico, mentre quelli rimanenti sono attribuiti con sistema proporzionale.

Ciò premesso, l'attuale legge elettorale ha introdotto quattro diverse previsioni volte ad agevolare un equo bilanciamento tra i sessi nella rappresentanza parlamentare, riguardanti l'elezione presso sia i collegi uninominali che quelli plurinominali.

Le prime due previsioni riguardano il metodo proporzionale e dispongono che “*a pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati sono collocati secondo un ordine alternato di genere*” e che “*nessuno dei due generi può essere rappresentato nella posizione di capolista in misura superiore al 60 per cento*”.

La terza previsione, invece, riguarda i collegi uninominali e, in maniera simile alle precedenti, stabilisce che “*nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento*” nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione, a livello nazionale per la Camera e regionale per il Senato.

La quarta e ultima previsione, infine, riguarda i poteri di controllo affidati all'Ufficio centrale nazionale e all'Ufficio elettorale regionale.

Tali previsioni, di sicuro impatto nella promozione del riequilibrio di genere, suscitano alcune riflessioni problematiche se considerate nel contesto elettorale nel suo complesso.

Per un primo aspetto, indicare la soglia del 60 per cento anziché del 50 per cento, pone evidenti perplessità in ordine al rispetto del principio di pari opportunità di accesso alla competizione elettorale, poiché ogni strumento volto al raggiungimento di quegli obiettivi costituzionali prima evidenziati, non può che essere improntato ad un trattamento eguale e paritario.

Per un secondo aspetto, è insensato che la circoscrizione Estero sia stata del tutto esclusa dall'applicazione da ogni misura volta al riequilibrio della rappresentanza di genere, acuendo le critiche già espresse in merito alla creazione di una circoscrizione elettorale del tutto separata dal circuito nazionale.

Occorrerebbe poi maggiore attenzione alla visibilità delle candidature, ossia alla collocazione in lista delle donne.

Per altro verso, le sanzioni previste per il mancato rispetto della parità di genere devono essere maggiormente severe ed efficaci.

Infine, le disposizioni sin qui esposte vengono grandemente depotenziate dal sistema delle pluricandidature, per cui è consentito che un candidato sia presente più volte in diversi collegi plurinominali (con un limite di cinque).

Ciò che accade, nel concreto, è che i candidati cd. “blindati” (cioè coloro che il partito intende far entrare in parlamento) vengono di fatto presentati in più collegi, in parte aggirando l'alternanza di genere. Se la candidata da blindare è una donna infatti – e si tratta di un'eventualità meno frequente del contrario – verrà indicata quale prima candidata in più collegi e la sua vittoria in uno di questi, permetterà a tutti gli uomini indicati quali secondi negli altri di essere eletti, con un rapporto di quattro ad una. Se invece il candidato da blindare è un uomo, piuttosto che indicarlo quale capolista in più collegi, lo si inserisce quale secondo in lista di un collegio in cui, con tutta probabilità, la prima candidata verrà eletta in un altro collegio, lasciando libero il posto al candidato blindato.

Questo sistema ha permesso alle forze politiche – chi più e chi meno – di eleggere nell'ultima tornata elettorale, nei soli collegi plurinominali, il 64 per cento di uomini e il 36 per cento di donne, con aggiramento della parità di genere.

e) Personalismo della politica


Negli anni del bipolarismo e del maggioritario, inaugurati dall\'elezione diretta dei sindaci e proseguita con i collegi uninominali del Mattarellum e infine con la lunga e devastante stagione dei premi di maggioranza trainati dai “capi” delle coalizioni, l'attenzione si è spostata sul voto 'alla persona'.

L'effetto, peraltro prevedibile, è stato quello di una battaglia politica che, dai programmi e dalle visioni del mondo, si è spostata sulla persona dell'avversario.

Si così è generato un inasprimento della battaglia politica, che non solo è scivolata sul personale, ma che si è trasformata in una lotta senza esclusione di colpi.

Avere buone idee, o validi ideali, non è più stato essenziale. In una corsa a due, basta dimostrare che l'altro è peggio di te. Da una battaglia sulle proposte, si è scivolati, velocemente, ad una demolizione personale dell'avversario.

Il sistema proporzionale ha quindi anche questo vantaggio: ciascuno corre in parallelo agli altri e deve farsi carico di proposte e valori, senza poter fare conto sulle cadute degli altri contendenti.

f) Sul numero dei parlamentari e voto di preferenza


La costituzione italiana è un organismo complesso. Si fonda su un accorto bilanciamento, modificarla senza un grande progetto democratico è sempre un errore, soprattutto se le revisioni del testo costituzionale non sono meditate dal ceto politico.

Tagliare il numero dei parlamentari non è solo una questione di numeri o di costi, si tratta di una riforma destinata ad incidere sulle modalità di organizzazione della rappresentanza politica attraverso la quale si esprime e si realizza il principio fondamentale della Repubblica secondo cui la sovranità appartiene al popolo e che attribuisce al parlamento un ruolo centrale nel nostro sistema democratico.

Il consenso all'ultima riforma costituzionale è stato alimentato da un grande equivoco, ossia che riducendo il numero dei parlamentari si punisca la casta mentre, al contrario, si puniscono i cittadini che vedranno diminuita la possibilità di eleggere un “proprio” rappresentante.

Minando il rapporto fra cittadini e parlamentari, si incide sulla rappresentanza, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Aumenta, anche geograficamente, la distanza fra rappresentato e rappresentante e viene ulteriormente sacrificato il pluralismo, abbassando il grado di potenziale identificazione del rappresentato con il rappresentante.

È certamente vero che la classe politica, oggi, è avvertita come un gruppo “sociale e professionale” privilegiato a sé stante, separato dai cittadini. Ed è altrettanto vero che questa stessa classe politica deve mostrare in prima persona di essere in sintonia con l'elettorato, anche nella consapevolezza della difficoltà del vivere quotidiano di milioni di persone. Tuttavia è preoccupante che il rapporto sia inteso solo come rapporto di tipo economico e che il parlamentare sia inteso solo come uno stipendiato, non come il proprio rappresentante nelle istituzioni. Il cittadino dovrebbe essere ben consapevole che il suo interesse è quello di avere la massima presenza, la massima rappresentanza nelle istituzioni. Ci sono ben altri costi da tagliare e potranno essere tagliati solo se l'elettore sarà rappresentato

Nel contempo va ricordato che vi è una ragione se si è giunti a questo punto. Il rapporto diretto con un deputato, percepito come proprio, è venuto completamente a cessare da molti anni. Era un rapporto che si fondava soprattutto sul voto di preferenza Da molti anni i deputati sono, per lo più, indicati dai vertici di partito e, per questo motivo, l'elettore non avverte alcun collegamento diretto con lo specifico deputato, perché non lo ha scelto e talvolta non sa neanche chi sia. Ed il deputato non è all'elettore che sente di dovere una risposta, posto che le sue possibilità di rielezione derivano solo dall'essere ricandidato (magari in un collegio sicuro), dal vertice del proprio partito. In questo quadro è chiaro che per l'elettore sia piuttosto indifferente al numero di deputati: i deputati eletti non lo rappresentano in Parlamento, rappresentano il (suo) partito.

Il taglio dei parlamentari sommato alle norme elettorali in vigore apre una ferita nella capacità di rappresentare i cittadini, i territori, le posizioni politiche esistenti nel paese, creando per di più squilibri tra le aree territoriali a parità di popolazione.

Ciò è tanto più grave alla luce della legge elettorale vigente caratterizzata da una forte quota maggioritaria (3/8 dei seggi) con liste bloccate nel proporzionale e voto obbligatoriamente congiunto tra candidato uninominale e lista collegata, con l'effetto di comprimere notevolmente la possibilità dell'elettore di scegliere i propri rappresentanti.

La crisi della rappresentanza politica non si può curare riducendo il numero dei rappresentanti ma facendo sì che gli elettori possano tornare a scegliere direttamente i propri rappresentanti di modo che il Parlamento ritorni ad essere il motore della democrazia.

g) Quarto potere


Il principio di separazione dei tre poteri dello Stato risale al '700, a Montesquieu, che scrivendo dello spirito delle leggi, affermava come ogni funzione statale (legislativa, amministrativa e giudiziaria) debba essere esercitata da organi diversi, in modo che “*il potere arresti il potere*”. Montesquieu traeva spunto, peraltro, da pensatori precedenti. Il filosofo Locke, aveva distinto tra funzione legislativa, esecutiva e federativa (relativa ai rapporti di politica estera).

Il principio di separazione dei tre poteri canonici, ha portato le democrazie occidentali, in linea di massima, a prevedere l'indipendenza della magistratura, ed a separare l'organo di vertice dell'amministrazione (ossia il Governo) dal Parlamento, cui è attribuita la funzione legislativa

Oltrepassate le soglie del nuovo millennio, occorre però chiedersi, se davvero i poteri da tenere separati siano solo tre. E conviene particolarmente chiederselo, nel momento in cui sono ancora vive nella memoria le immagini dei tristi fatti del gennaio 2021, quando i manifestanti pro Trump assalirono il congresso degli Usa per cercare di impedire la transizione presidenziale, e dell'8 gennaio del 2023, con i tumulti di Brasilia.

Rileggendo a mente fredda quei fatti, ci si accorge del principale problema del sistema presidenziale: manca un arbitro che sia al di sopra delle parti, il cui unico compito sia quello di far rispettare le regole. Quando Trump annunciava che non avrebbe lasciato il potere, nessuno, sopra di lui, poteva richiamarlo all'ordine. Il presidente americano è capo dell'esercito (Commander in Chief), è vertice delle istituzioni, ed è anche il capo del governo, quindi non ha nessuno sopra di lui.

Si comprende allora come, in una democrazia matura, vi sia un ulteriore, fondamentale potere, che merita riconoscimento e tutela, ed è il potere attribuito agli organi deputati al mero rispetto delle regole costituzionali.

In termini teorici, si può discutere se questo sia un quarto potere, se sia la somma di tutti gli altri, se sia un potere neutro o meno, così come si discute se il bianco sia un colore, o la compresenza di tutti i colori.

Ciò che rileva è che questo ruolo di Garanzia, e di vigilanza, è essenziale nella democrazia moderna, perché la garantisce nella sua sopravvivenza. Tuttavia non si attiva solo nei momenti più drammatici, ma si esplica nel quotidiano della vita repubblicana. È il potere di definire i conflitti tra gli altri tre poteri, e di spingerli verso il rispetto dei propri confini.

Nel corso dei secoli, le democrazie hanno sviluppato questo potere di Garanzia, a discapito degli altri poteri. Ciò si inscrive in una tendenza più globale che riguarda tutti i poteri, non solo quelli pubblici.

Le riflessioni sulla democrazia matura, per cui abbiamo recuperato la definizione di *Isonomia*, mirano a tracciare un percorso evolutivo: ridurre lo spazio del potere, inteso come scelta arbitraria, per sottomettere ogni, pur minimo, potere, alla regola. E quindi comprimere, bilanciare, frammentare, controllare e regolamentare ogni forma di potere, pubblico o privato, fino a togliergli l'essenza di potere per far emergere l'essenza di funzione.

La democrazia matura è quindi l'era politica in cui la Regola, democraticamente generata, nel compromesso, nella tutela delle minoranze, nel principio di partecipazione, prevale sull'esercizio arbitrario del potere. Tanto colui che è apparentemente sovraordinato (il generale, il magistrato, il proprietario), che colui che è apparentemente sotto ordinato (il soldato, l'imputato, il dipendente) hanno una via segnata e delimitata dallo steccato della norma. Il funzionario pubblico (ma anche privato), a qualunque livello, non può più fare ciò che vuole, ma è tenuto e muoversi all'interno di regole predefinite. In tal modo il potere diviene funzione.

In questo quadro si legge la crescita del potere di Garanzia (o, più correttamente, la funzione di garanzia, perché anche il garante deve agire secondo le regole). La partita democratica trova il proprio arbitro, ed i propri guardalinee. Arbitri sempre contestati, naturalmente, perché è ben noto come i poteri siano allergici ai limiti, alle regole, agli steccati. Ed è proprio per questo che questo quarto potere deve essere tenuto ben vivo, fortificato e separato rigorosamente dagli altri. Arbitro e giocatori non possono coincidere, se non si vuole il ripetersi della tragedia (democratica) americana, e di tanti altri paesi che hanno sottovalutato il tema e sono scivolati verso forme che non possono più definirsi, a rigore, democratiche.

E qui va detto, ancora una volta, che la nostra Costituzione è stata davvero lungimirante e matura. Ha delineato la Corte costituzionale, che è sicura manifestazione di questo potere di Garanzia, e che giudica i conflitti tra i poteri dello Stato, e ha creato la figura apicale del Presidente della Repubblica.

h) La tentazione presidenzialista


Si riaffacciano, periodicamente, in Italia, le tentazioni presidenzialiste. Uno degli argomenti su cui si fa leva è quello per cui l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, renderebbe il sistema più democratico.

Vale però la pena di affrontare il tema con attenzione, per verificare se davvero il presidenzialismo sia un modello che si prospetta, nel futuro, come evoluzione naturale della democrazia, o se invece al contrario sia un relitto del passato, un attrezzo desueto e poco funzionale.

La Costituzione definisce il Presidente della Repubblica “Capo dello Stato” e “rappresentante dell'unità nazionale” (art. 87). Gli attribuisce la funzione di garanzia costituzionale, cioè di preservazione di quel patto fondamentale – la Costituzione – che unisce i cittadini fra loro ed è condizione di quell'unità dell'intera nazione che egli rappresenta. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 2013, definisce il Presidente “garante dell'equilibrio costituzionale”.

Non può sfuggire, e lo dimostra il sentimento diffuso dopo la rielezione del Presidente Mattarella, come questa figura sia in netta crescita rispetto alle altre. Un soggetto che non rappresenta la maggioranza di governo, né un orientamento partitico. Tuttavia la figura del Presidente della Repubblica non è una fredda figura tecnica, il Presidente non è, e non è visto, come un mero arbitro. Egli viene riconosciuto simbolicamente come portatore degli interessi dell'Istituzione, e del Popolo, come pure del Bene Comune. Un soggetto, quindi, che resta politico, ma che è chiamato a svolgere un ruolo *super partes*, e che viene tenuto a riparo, saggiamente, dal fango delle accuse incrociate, perché istintivamente i partiti ed i politici sanno che poggiamo tutti su un terreno comune, che può franare.

Il Presidente non è portatore della politica della maggioranza, ma incarna la Repubblica. Questa funzione simbolica è talmente forte, da avere un rilievo nei processi democratici, ed incide financo sul carattere individuale. Si può osservare come, salvi rari casi, chi è stato chiamato a ricoprire la carica presidenziale ha sentito il ruolo, e lo ha interpretato in modo corretto.

Si è sopra accennato al tema della separazione dei poteri. La riflessione sulle forme più avanzate di democrazia ci ha portato a evidenziare l'esigenza di frammentare la concentrazione del potere in un solo individuo, e di assegnare ad un soggetto super partes quello che si è definito il quarto potere.

La repubblica presidenziale, tradizionalmente auspicata dalla destra italiana, è invece articolata sui tre poteri canonici. Al presidente della repubblica, eletto direttamente dal popolo, è attribuito sia il ruolo di vertice dell'Istituzione, che in Italia oggi è svolto dal Presidente della Repubblica, sia il ruolo di capo del governo. Introdurre il presidenzialismo in Italia significa quindi eliminare la figura del Presidente della Repubblica come la conosciamo noi, di soggetto sopra le parti. Il premier assumerebbe entrambi i ruoli.

Questa semplice considerazione permette di capire perché si tratta di un arretramento. In Italia il Presidente della Repubblica è espressione del quarto potere, così come lo sono i presidenti delle Camere, le molteplici autorità indipendenti, i garanti etc

In questo contesto è chiaro che, se il Presidente fosse eletto dal popolo, non potrebbe più svolgere un simile ruolo.

L'attuale Presidente della Repubblica agisce e deve agire per il bene della collettività nel suo insieme, senza favorire una parte politica. Storicamente questo ruolo sopra le parti è stato interpretato con grande dignità dai presidenti che si sono alternati: Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Ciascuno di loro si è anche esposto a critiche, ma non può non emergere il senso complessivo di una funzione rilevante, che è cresciuta nel corso del tempo, l'autorevolezza che deriva dal parlare per l'Istituzione e non per la maggioranza temporaneamente al governo. Ed un effetto simile si è avuto per altre analoghe figure di rilievo (si pensi alla presidente Marta Cartabia della Corte costituzionale).

Nel sistema presidenziale, invece, le diverse forze proporrebbero i loro candidati, farebbero dure campagne elettorali, anche distruttive degli altrui candidati, fino alla fatidica frase, per cui l'eletto 'non è il mio presidente'. Prendere il Presidente della Repubblica e gettarlo nella mischia di maggioranza e minoranza, costringerlo all'attività spicciola e quotidiana di governo, all'imposizione di tasse ed alle dichiarazioni polemiche contro gli avversari, non sarebbe un progresso.

Sarebbe invece una lesione della sua alta dignità. Non è un caso che le figure più rispettate ed amate della politica italiana abbiano rivestito questo ruolo. È un ruolo che migliora la personalità politica: chi si sente chiamato ad essere migliore, spesso lo diventa. Ma ciò che più conta è che sulla dignità di questo ruolo riposa anche una parte della residua capacità degli italiani di identificarsi con la Repubblica.

E non occorre davvero soffermarsi sul danno che una democrazia subisce, quando una consistente parte dell'elettorato, sente di non avere una figura di rappresentanza nelle istituzioni. La situazione è già critica per effetto di fattori concomitanti che hanno inciso sulla vita democratica. La frammentazione politica ha aumentato il numero dei competitori, la personalizzazione ha imbarbarito il confronto. La lotta politica, in un contesto in cui i *social* *network* sono il principale strumento di comunicazione, non ha più argini. Si scava nella vita privata dell'avversario politico e della sua famiglia. Il bersaglio non sono le proposte politiche, ma le biografie personali. Nessuno può salvarsi, perché le accuse sono spesso false ed i fatti distorti. La conseguenza è che una parte, sempre crescente, del popolo, non solo italiano, non trova più modo di riconoscersi in alcun modo nei propri rappresentanti, neanche quando ne condivide, in grandi linee, le idee e le proposte.

In questo contesto, è divenuta sempre più essenziale l'enucleazione del quarto potere, che non è solo Garanzia ma, anche e soprattutto, rappresentanza dell'unità nazionale, non solo dei territori, ma dei cittadini e delle cittadine. E le stesse forze politiche, che in taluni casi dimostrano maturità, hanno percepito che non sarebbe più accettata l'elezione di un Presidente che non fosse frutto di un compromesso su una figura riconosciuta come idonea a svolgere questo tipo di ruolo. In altri termini, per come si è venuta configurando la figura del Presidente della Repubblica Italiana, il compromesso, allargato per quanto possibile, non solo non rappresenta una sconfitta, ma rappresenta la naturale modalità di elezione (corroborata dalla indicazione costituzionale, dei due terzi, richiesti nelle prime tre votazioni).

La riflessione, su questo quarto potere è essenziale. Fondere in un sola figura il ruolo di Presidente della Repubblica e quello di Presidente del Consiglio, o attribuire ruoli di governo attivo al Presidente della Repubblica, non solo non aggiungerebbe nulla, ma sopprimerebbe il ruolo di vigilanza e, ciò che è perfino peggio, la percezione popolare di un Garante, che si fa portatore dell'idea stessa della Repubblica.

In questo la democrazia ha notoriamente un limite, nella capacità di rappresentarsi con efficacia. Questo quarto potere, attribuito a prestigiosi soggetti, dopo una condivisione tra le diverse forze politiche, è una delle espressioni migliori della democrazia stessa, che può scegliere anche chi la rappresenti simbolicamente ed idealmente. Va quindi difeso, e valorizzato ove possibile.