ASILO RESPINGIMENTI ED ONG

a) Premessa


Le destre xenofobe e razziste hanno spesso costruito il loro spazio politico e culturale, e le loro fortune elettorali intorno al primato dell'appartenenza nazionale e agli interessi da tutelare contro i “nemici stranieri”.

La formula “prima gli italiani”, del tutto sovrapponibile a quel America First dell'ultra conservatore Trump e, andando indietro negli anni bui del vecchio continente, al Deutschland Uber Alles del nazismo, riscuote successo in Italia come, declinata nei diversi Paesi, a quasi tutte le latitudini.

Si tratta solo dell'ultima tappa di una gara che vede forze oscurantiste, conservatrici e xenofobe, insieme a forze democratiche, impegnate da anni a contendersi uno spazio pubblico costruito intorno alla sottrazione di diritti alle persone di origine straniera.

Una corsa che va avanti da più di venti anni e che ha portato nel nostro Paese ad esempio, ma vale per gran parte dei Paesi europei, a rendere impraticabile l'ingresso regolare agli stranieri sia per motivi di lavoro sia per richiesta d'asilo.

La cultura proibizionista, che favorisce i trafficanti, rende ricattabili e socialmente fragili i lavoratori e le lavoratrici stranieri; caratterizza oramai l'agenda sull'immigrazione, sempre più concentrata sull'esternalizzazione delle frontiere e sui programmi di rimpatrio forzato.

Se le destre hanno così ben interpretato il loro ruolo, da riuscire a dettare l'agenda ai governi, che oramai parlano e programmano attività e politiche su tali temi in maniera quasi ossessiva, partendo dalla criminalizzazione dell'immigrazione, le forze democratiche e di sinistra non sono state, fino ad oggi, in grado di trovare una proposta credibile e una strategia alternativa.

La proposta che vede diretta destinataria l'Unione Europea, per invertire la direzione, è quella di:

1\. Introdurre, attraverso una direttiva, vie d'accesso per ricerca di lavoro, anche autonomo, nonché modalità permanenti, non straordinarie, di uscita dall'irregolarità che tengano conto della condizione di inclusione sociale e lavorativa delle persone;

2\. Riformare, secondo le linee individuate dal documento votato dal Parlamento Europeo in questa legislatura, il Regolamento Dublino, consentendo una ripartizione equa e ragionevole dei richiedenti asilo, a partire dalle esigenze delle persone coinvolte e avendo cura dei territori e dei legami precedenti tra le persone e quei territori;

3\. Chiudere la stagione del “diritto speciale per gli stranieri”, con l'abolizione di ogni forma di detenzione amministrativa legata allo status giuridico;

4\. Trasferire le competenze riguardanti il soggiorno degli stranieri agli enti locali, sottraendole alle forze dell'ordine e al sistema della Sicurezza

5\. Implementare un programma europeo di ricerca e salvataggio e in parallelo un programma di reinsediamento per un numero non inferiore allo 0,5 per mille della popolazione europea ogni anno.

6\. Interrompere i programmi e gli accordi per il controllo delle frontiere esterne all'UE, soprattutto in paesi come la Libia, l'Egitto, la Turchia, il Niger, il cui effetto è l'aumento dei morti e delle violazioni dei diritti umani, che spesso si traducono in veri e propri crimini contro l'umanità.

b) Respingimenti


Norme e principi di carattere nazionale, costituzionale e sovranazionale non possono essere stracciati impunemente, neanche da un governo “forte”. Lo stesso testo unico sull'immigrazione (art. 10 ter) prevede che le persone salvate in mare devono essere condotte nei centri di prima accoglienza e devono essere informate del diritto di chiedere la protezione internazionale, essendo il diritto d'asilo un diritto fondamentale garantito dall'art. 10, comma 3 della Costituzione. Inoltre l'espulsione collettiva di stranieri è vietata dall'art. 4 del Protocollo n. 4 della CEDU e dall'art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Il Decreto del 4 novembre 2022 - dei Ministeri dell'interno, dei trasporti e della mobilità sostenibile e della difesa - vieta alla nave Humanity1, della ONG SOS Humanity, di “*sostare nelle acque territoriali italiane …oltre il termine necessario per assicurare le operazioni di soccorso ed assistenza nei confronti delle persone che versino in condizioni emergenziali ed il precarie condizioni di salute*”; analogo decreto è stato adottato la sera del 6 novembre 2022 per la nave Geo Barents, della ONG Medici Senza Frontiere, secondo un metodo che potrebbe ripetersi anche nell'immediato futuro (altre navi con naufraghi a bordo sostano infatti al confine con le acque territoriali).

I decreti sono manifestamente illegittimi in quanto violano numerose norme del diritto internazionale ed interno.

Invocando un generico pericolo per la sicurezza dell'Italia, posto in relazione allo sbarco di naufraghi, impropriamente richiamando l'articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione Onu sul diritto del mare, il Governo impedisce la conclusione delle operazioni di salvataggio di naufraghi. L\'obbligo di prestare soccorso dettato dalla Convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce, infatti, nell\'atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l\'obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. \“place of safety\”)[^14].

Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «*Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall\'Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile*».

Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004), allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito. Obbligo al quale le autorità preposte, italiane e maltesi, si sono sottratte.

Non può quindi essere qualificato \“luogo sicuro\”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno, tra i numerosi altri diritti, quello di presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave.

A ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d\'Europa secondo cui «*la nozione di \“luogo sicuro\” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali*» (punto 5.2.).

Al riguardo, risulta arbitraria quanto approssimativa la distinzione all'interno dei gruppi dei naufraghi che il Governo italiano sta proponendo, come risulta impossibile escludere la situazione emergenziale delle decine se non centinaia di persone a bordo la cui condizione va valutata singolarmente, in ossequio all'art. 19 della Carta del Diritti Fondamentali dell'Unione Europea che vieta le espulsioni collettive e all'effettivo rispetto dell'art 3 della CEDU e dell'art 4 della CDFUE, nonché al carattere assoluto del divieto di trattamenti inumani e degradanti (l\'art. 15 della Convenzione EDU fa espresso divieto di deroga, persino in caso di guerra o di pericolo pubblico che interessi la nazione). La Commissione Europea che più volte ha richiamato l'Italia, invitandola a «minimizzare la permanenza delle persone a bordo delle navi» (da ultimo il 10 novembre con una nota ufficiale), come peraltro prescrivono il diritto internazionale del mare e il Regolamento europeo n.656 del 2014.

La terminologia scandalosa utilizzata dai rappresentanti del governo per definire i migranti lasciati a bordo (“carico residuale”, “sbarco selettivo”) è un insulto a chiunque possegga un minimo di umanità. Peraltro, l'attività di respingimento del “carico residuale si esporrebbe a una seconda sanzione della Corte Europea, dopo la condanna dell'Italia nella sentenza Hirsi Jamaa c/ Italia del 2012, emessa per la violazione dell'art. 4, protocollo 4 Cedu.

Deve poi essere assicurato alle persone a bordo della nave e in acque territoriali italiane il diritto a chiedere la protezione internazionale in attuazione dell'art. 6 della direttiva 2013/32/UE (direttiva procedure) che obbliga gli Stati membri a garantite un accesso effettivo alla procedura. Si tratta di diritto fondamentale sancito dall'art. 10 comma 3 della Costituzione, norma declinata anche come diritto di accedere al territorio dello Stato al fine di essere ammesso alla procedura anche di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. sent. n. 25028/2005), in quanto, come affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 29460/2019), il diritto alla protezione internazionale “è pieno e perfetto” e “il procedimento non incide affatto sull'insorgenza del diritto” che “nelle forme del procedimento è solo accertato…il diritto sorge quando si verifica la situazione di vulnerabilità”.

Ai sensi dell'art 10 ter del D.lvo n. 286/98 le persone giunte sul territorio nazionale a seguito di salvataggio in mare devono essere condotte presso i punti di crisi o nei centri di prima accoglienza, dove sono identificati, è assicurata la prima assistenza e deve essere assicurata l'informazione anche sul diritto a chiedere la protezione internazionale. L'illegittimo tentativo di fare sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali si configura, oggettivamente, come una forma di respingimento collettivo, vietato dall'art. 4, Protocollo n. 4 della CEDU; attività, quest'ultima, per la quale l'Italia è già stata condannata in passato (sentenza Hirsi Jamaa c. Italia del 2012).

La condotta governativa si pone, altresì, in contrasto con i principi sanciti nella Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e, in primo luogo, del principio di non refoulement (art. 33). In questa condizione se i comandanti delle navi portassero fuori dai confini italiani i naufraghi potrebbe configurarsi a loro carico, e a carico degli armatori, una responsabilità per avere prodotto, in esecuzione di un ordine manifestamente illegittimo, una grave violazione dei diritti umani.

c) Decreto Piantedosi


Il Decreto, pubblicato il 21 settembre 2023 sulla Gazzetta Ufficiale, che interviene sul tema dei respingimenti prevede il versamento di una garanzia finanziaria di 5.000 euro da parte dei migranti privi di passaporto che vogliono evitare i centri di permanenza temporanea.

È quanto ogni singolo migrante dovrà versare allo Stato italiano in attesa dell'esito della procedura di richiesta d'asilo, se non vuole essere trattenuto in un centro di permanenza temporanea.

La notizia ha suscitato un'ondata di sdegno. È stato argomentato che la somma richiesta costituirebbe una sorta di “riscatto” per ottenere la libertà, un “pizzo” di Stato. Tuttavia, dovendosi addentrare in una selva legislativa particolarmente oscura, in cui si intersecano fonti legislative nazionali ed europee e atti amministrativi, per poter esprimere una valutazione congrua, occorre fare un po' di chiarezza sull'origine, sui destinatari, sull'ambito di applicazione del provvedimento.

All'origine del provvedimento c'è una norma del decreto Cutro, l'art. 7 bis (Disposizioni urgenti in materia di procedure accelerate in frontiera) che introduce, sulla falsariga della Direttiva “Procedure” dell'Unione Europea, una procedura accelerata, da svolgersi direttamente in frontiera o nelle zone di transito per i richiedenti asilo provenienti da paesi ritenuti “sicuri” (Albania, Algeria, Bosnia Erzegovina, Capo Verde, Costa d'Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia). Si tratta di una procedura finalizzata ad una rapida evasione della domanda di asilo e al rimpatrio immediato. Per evitare il pericolo di fuga è previsto che lo straniero possa essere trattenuto fino ad un massimo di 28 giorni: “*qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria*.”

Insomma il decreto Cutro, forzando le procedure europee, ha introdotto una forma speciale di detenzione amministrativa per alcune categorie di richiedenti asilo ai quali è riservato un esame sommario della domanda di protezione internazionale, posto che provengono da paesi “sicuri”. Si può sfuggire all'internamento solo in due ipotesi: se gli stranieri consegnano il passaporto, ovvero se prestano idonea garanzia finanziaria. Astrattamente la possibilità di prestare una garanzia finanziaria dovrebbe essere una misura a favore del richiedente asilo che non può o non vuole consegnare il passaporto. Il decreto del Ministro Piantedosi dovrebbe consentire l'esercizio di questa facoltà, ma in realtà la nega, rendendola impossibile.

Infatti l'art. 3 del decreto Piantedosi (*Determinazione delle modalità di prestazione della garanzia finanziaria*) prevede:

1\. *Allo straniero di cui all'art. 1, comma 3, del presente decreto è dato immediato avviso della facoltà, alternativa al trattenimento, di prestazione della garanzia finanziaria*. 2. *La garanzia finanziaria è prestata in unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa ed è individuale e non può essere versata da terzi.* 3. *La garanzia finanziaria deve essere prestata entro il termine in cui sono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico ai sensi degli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013* (..)

Secondo questo provvedimento, il tunisino o l'algerino che sbarca a Lampedusa entro tre giorni (il tempo previsto per le operazioni di fotosegnalamento) si deve rivolgere ad una Banca o ad una Assicurazione (mentre si trova rinchiuso nel centro di identificazione) e farsi rilasciare una fideiussione o una polizza fideiussoria: operazione assolutamente impossibile, anzi inimmaginabile. Per eliminare ogni residua possibilità di prestare una garanzia finanziaria, il decreto prevede che la polizza non può essere versata da terzi (come potrebbe fare, per es., un parente residente in Italia che sia titolare di un c/c bancario). Con il decreto Cutro, come applicato da Piantedosi, è stata inaugurata una nuova tecnica normativa: la burla legale. La legge non serve a dare delle disposizioni che devono essere attuate da qualcuno, per perseguire dei fini più o meno legali, ma per sbeffeggiare i soggetti interessati ed ingannare l'opinione pubblica. Tuttavia l'aspetto più scandaloso non sta nella burla sulla garanzia finanziaria, bensì nella procedura di somma urgenza che sacrifica pesantemente la possibilità per il richiedente asilo di far valere il suo diritto alla protezione internazionale, ove sussistente. È infatti previsto che la Commissione territoriale debba decidere entro sette giorni. Contro la decisione è ammesso ricorso nel termine di 14 giorni sul quale il giudice monocratico deve decidere entro cinque giorni con un decreto non impugnabile (cioè non appellabile, né ricorribile per cassazione). In questo modo è stato reso evanescente il diritto alla difesa, garantito dall'art. 24 della Costituzione, e la possibilità di ottenere la tutela giurisdizionale contro i provvedimenti della pubblica amministrazione assicurata dall'art. 113 della Costituzione.