LA NORMATIVA ANTIFASCISTA

a) Premessa


I sistemi costituzionali danno luogo ad architetture complesse e fragili. Accade, dunque, che nel dibattito politico delle liberaldemocrazie possano attecchire ideologie illiberali e antidemocratiche, che alle elezioni repubblicane si presentino – ad esempio – partiti monarchici, e che gruppi organizzati chiedano e ottengano cittadinanza politica, pur tradendo la propria ostilità nei confronti dei presupposti fondativi dell'ordinamento.

È uno dei paradossi della democrazia, chiamata ogni giorno a fare i conti con sé stessa per mantenere fede alla propria identità: ciò, anche quando determinate forze tentino di metterne in luce i nervi scoperti, cercando di piegare le istituzioni e le procedure democratiche ai controvalori propugnati dalle prime.

In questo quadro la categoria politica del fascismo, è sempre attuale e, nel nostro tempo è più attuale che mai, anche se la vicenda storica del fascismo – naturalmente - è morta e sepolta e non può più essere riportata in vita. È ovvio che il fascismo ed il nazismo non torneranno mai più nella forma storica in cui noi li abbiamo conosciuti. I forni di Auschwitz non si metteranno a fumare un\'altra volta e non ritornerà più un signore con la camicia nera e la mascella squadrata a prometterci di nuovo l'impero, fra il tripudio della folla. Quegli episodi storici sono nella loro specificità conclusi. Ma possiamo escludere che la mala pianta del razzismo e della discriminazione non tornerà di nuovo a fiorire nel nostro paese, che il flagello della guerra continuerà ad essere bandito dal nostro futuro, come pretende la Costituzione, che il pluralismo sarà rispettato, che il Parlamento non sarà marginalizzato e che non si concentreranno un'altra volta tutti i poteri nella mani di un capo politico, interprete e padrone della volontà popolare?

Il fascismo non è stato solo un evento storico. La parola fascismo è una metafora, essa rappresenta una condizione patologica dello spirito umano nella sua dimensione sociale. In questo senso il fascismo è un fenomeno transtemporale, non è appannaggio esclusivo di un'epoca storica, né di una determinata parte politica. Ci sono delle costanti storiche e psicologiche che si riaffacciano, specialmente nei periodi di crisi; ci sono politiche che costruiscono risposte violente ed autoritarie ai problemi della convivenza umana; ci sono condizioni psicologiche che attivano meccanismi di *fuga dalla libertà* e spingono gli uomini a liberarsi del fardello delle proprie responsabilità consegnandosi nelle mani di un uomo forte. Il fascismo è una malattia dello spirito pubblico che, quando si attiva, corrompe la democrazia e corrode le istituzioni democratiche.

E' vero che la Costituzione italiana costituisce un baluardo contro il ritorno dei disvalori e delle pratiche proprie del fascismo. La Costituzione, stabilendo un recinto inviolabile di libertà individuali e collettive ed organizzando la separazione, la diffusione e la distribuzione dei poteri, rende impossibile ogni forma di *dittatura della maggioranza*. Ma, proprio per questo la Costituzione è stata vissuta come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l'onnipotenza della politica. Ridotta all'osso è questa la questione centrale che ha animato i tentativi di grande riforma della Costituzione che sono stati praticati nel tempo.

Una politica che non riconosca i valori ed i principi fondamentali dell'ordinamento democratico come delineato dalla Costituzione repubblicana, può portare rapidamente all'obsolescenza ed al tramonto della Costituzione, anche a prescindere da modifiche o stravolgimenti formali dell'impianto costituzionale.

Rimane il problema di capire a che punto siamo della notte. Che cosa non ha funzionato nel modello di democrazia prefigurato nella Costituzione repubblicana. Quale sia l'origine del “male oscuro” che corrode la democrazia ed ha avviato una transizione dagli sbocchi indefinibili.

La crisi della democrazia politica in Italia viene da lontano e la degenerazione rappresentata dal Berlusconismo e dal Salvinismo non ne è la causa principale, ma – in un certo senso l'effetto, ovvero lo stadio finale, se non ci sarà una reazione adeguata a questo fenomeno ed alle cause che lo hanno generato.

b) Attualità del pericolo di una involuzione autoritaria di tipo fascista nel nostro paese.


Vi sono sentimenti che, nelle società ricche, traggono origine dall'inconscio collettivo, dal senso delle perduta stabilità, dalla paura del futuro, dal timore di non conservare i diritti o i privilegi acquisiti, e che si esprimono in una ricerca di esclusività, in una esacerbata affermazione di identità, in un'ostilità per lo straniero, in un ostracismo per il diverso, in una caduta delle garanzie giuridiche, in una difesa corporativa del proprio gruppo, o regione, o cortile, in un daltonismo sociale che non ha occhi per il colore della pelle degli altri.

In questa situazione cresce l'insicurezza, il senso delle precarietà della vita individuale e collettiva ed avanza una sottopolitica che costruisce le sue fortune sulla paura, che mette uomo contro uomo in uno spregiudicato gioco per il potere. Tutte le ultime elezioni politiche hanno dimostrato che organizzare la paura paga in termini di consenso elettorale, in quanto il c.d. “tema della sicurezza”, comprensivo della richiesta di oscure misure nei confronti di Rom e stranieri, è sempre l'atout su cui è fondata la campagna elettorale del centro-destra.

Di fronte alla drammaticità della crisi economica e sociale che il nostro continente sta vivendo e attraversa, e anche alle difficoltà delle istituzioni democratiche ad affrontarla, crescono nei Paesi europei i movimenti neofascisti e neonazisti. Si tratta di fenomeni politici che in taluni casi attraversano il confine della vera e propria eversione. Alba Dorata, che raccoglie in Grecia un consenso elettorale significativo, si serve addirittura di squadre paramilitari che aggrediscono gli avversari politici e gli immigrati.

Questo fenomeno riguarda anche il nostro Paese.

Il nostro è uno dei Paesi nei quali la crisi economica ha influito maggiormente, aggravando il malcontento, la tensione sociale e le diseguaglianze fra i cittadini. A causa dell'instabilità politica e della profonda debolezza dei partiti non si è ancora giunti a quelle importanti riforme istituzionali ed economiche di cui il Paese ha un estremo bisogno. La crisi e la percezione diffusa di una difficile ripresa alimentano ulteriormente i focolai di rinascita del fenomeno di cui si discute.

Insomma, occorre una grande, collettiva, azione per contrastare un fenomeno che non può essere tollerato, in un Paese che ha subìto vent'anni di dittatura fascista, ha subìto l'autoritarismo e la discriminazione razziale nelle forme più odiose e violente. Una parte fondamentale della suddetta azione deve essere costituita, necessariamente, dall'esclusione dal confronto elettorale di tutti quei gruppi e movimenti politici che sono chiara espressione di un'ideologia in aperto contrasto con i principi testé richiamati.

In particolare si segnala che le norme italiane prevedono financo la sanzione penale per chi tenta la ricostituzione di movimenti fascisti o para-fascisti. Ebbene, è chiaro che si rischia di adottare una politica contraddittoria. Prima della sanzione penale viene la legittima resistenza politica (ed amministrativa) alla pretesa di tali movimenti di partecipare alla competizione elettorale.

Se, infatti, si ammettono liste neo-fasciste alle elezioni, si avvalora l'idea che sarebbe legittima una gestione della cosa pubblica improntata a tali idee. In tal modo, indirettamente, si legittima l'esistenza di un rinato movimento dai contorni fascisteggianti.

In sostanza, non è rilevante che poi tali liste siano o meno idonee a conquistare effettivamente il consenso elettorale. Ciò che più conta è ribadire che, pur in un sistema democratico, ci sono dei limiti, dettati dalla autoconservazione del sistema stesso e dei suoi valori fondamentali.

Se non si procede alla esclusione di tali liste, si ammette implicitamente che tali liste, in caso di vittoria schiacciante, potrebbero trasformare il sistema democratico in sistema autoritario, razzista, omofobo, etc (con lesione dei diritti fondamentali di tutti i cittadini che non hanno voluto quella trasformazione). Trasformazione che, poi, per esperienza storica, diviene irrevocabile. Dunque la lista deve essere esclusa a monte, perché la trasformazione che propugna non è ammissibile, non solo per effetto delle specifiche disposizioni costituzionali che impediscono la ricostituzione del disciolto partito fascista, ma anche in difesa di tutti gli altri diritti costituzionali.

c) La normativa in materia


Occorre partire dalla *grundnorm,* cioè dalla nostra Costituzione che, con la XII disposizione transitoria e finale, stabilisce, al primo comma, che è “vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

I nostri Costituenti hanno vietato non solo la ricostituzione dello storico partito fascista, inteso come un fenomeno storico politico culturale ben riconoscibile, cioè il Partito Nazionale Fascista (d\'altra parte il partito fascista era già stato punito con lo scioglimento per mezzo del regio decreto 2 agosto 1943 numero 704), ma anche quella di partiti e movimenti che “sotto qualsiasi forma” professino l\'ideologia fascista.

Ora, per comprendere l\'importanza della XII disposizione transitoria e finale della nostra Costituzione, è necessario chiedersi perché i nostri Costituenti l\'abbiano inserita nel testo della Costituzione.

In fondo il regime era caduto, già da qualche anno, il Duce era morto e con lui almeno una parte dei suoi gerarchi e sodali; perchè, dunque, inserire questa norma?

Certamente possiamo ritenere che ciò derivi, almeno in parte, dal fatto che la nostra Costituzione è espressione della lotta antifascista; è il prodotto dell\'azione e del pensiero di uomini che hanno lottato contro il fascismo e il nazismo, che sono stati perseguitati, che magari sono stati in prigione per le loro idee, che sono stato partigiani, che hanno combattuto con le armi in pugno il regime fascista, magari che hanno vissuto sulla loro pelle o di quelle di persone a loro vicine le stragi commesse dai nazi-fascisti.

Sicuramente è così. Però non è solo questo.

E a maggior ragione bisogna chiederselo per il fatto che l\'introduzione di questo articolo nella Costituzione non è un fatto banale, anche da un punto di vista giuridico; perchè la XII disposizione transitoria e finale è una norma problematica, e lo è perchè si pone, almeno astrattamente, in contrasto con quanto la nostra Costituzione dichiara, statuisce, o perfino celebra, con articoli fondamentali, posti per lo più nella sua prima parte. Ci si riferisce principalmente all\'art. 21 la libertà di pensiero e a quel combinato di articoli (artt.18,19, 39 e 49) che dettano la disciplina della libertà di associazione (in generale, religiosa, sindacale e politica).

La lettura di questi articoli ci chiarisce che in essi si esprime appieno il diritto di associazione e se ne esplicitano in modo esaustivo e non etero integrabile anche i limiti e le eccezioni.

Se consideriamo, ad esempio, l\'articolo 18 vediamo che dopo aver espresso il principio generale (“i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione”), la norma indica espressamente i limiti e le eccezione di cui si parlava (“per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale\….sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militari”).

Questa della XII disposizione non è un\'eccezione alla regola generale; perchè essa stessa è, in fondo, una regola generale.

Ancora, l\'importanza della XII disposizione si misura tutta se solo si considera come essa incide su quel particolare diritto di associazione che è la partecipazione al partito politico.

Va considerato, sul punto, che i partiti politici sono associazioni avente rilevanza costituzionale, mediante le quali i cittadini concorrono, con metodo democratico “a determinare la politica nazionale”, come recita l\'art. 49 Cost. Dunque si può ben sostenere che se la determinazione della politica nazionale ha molto a che fare con la sovranità popolare che “appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, secondo la dizione dell\'art. 1, comma 2, Cost., la rilevanza costituzionale del partito politico assume un carattere concreto e fondamentale per il funzionamento della Stato di diritto e, conseguentemente, la regola generale introdotta dalla XII disposizione transitoria e finale, ne diventa una delle colonne portanti.

Inoltre, la ricaduta di questo possibile contrasto coinvolgerà, ovviamente, anche le leggi ordinarie di attuazione di questa regola generale che, a loro volta, si potranno porre in contrasto con le norme della Costituzione che abbiamo citato, e ancor più con la norma della Costituzione che vieta la discriminazione tra le persone, in ragione delle proprie convinzioni politiche cioè l\'art. 3, comma 1, che disciplina il principio di uguaglianza formale.

E, ovviamente, laddove questo contrasto si verifichi, come è effettivamente avvenuto anche per la legge (“Scelba”) di attuazione della XII disposizione, si potrà sollevare davanti ad un\'autorità giudiziaria la relativa eccezione di costituzionalità di quella norma.

Volendo andare ancora più in profondità, possiamo dire che la XII disposizione è sicuramente una norma volta a scongiurare l\'ipotesi di una torsione totalitaria (evidentemente la Costituzione non può contemplare l\'ipotesi che tale torsione non venga perseguita dall\'interno del sistema quanto per via “rivoluzionaria” o “eversiva”), ma si pone con riferimento a questa funzione in termine di rapporto tra genus e species, nella rappresentazione di quella particolare forma di regime totalitario che è il regime fascista; in questa sua caratteristica essa non va considerata discriminatoria, perchè il suo grado di intolleranza (contro l\'ideologia fascista) rappresenta l\'unica intolleranza che è concessa alla democrazia, cioè quella contro i sistemi politici e sociali intolleranti (e il nazifascismo lo fu(rono) ampiamente).

Peraltro, si deve considerare che la nostra Costituzione, ha aliunde disciplinato l\'ossatura di uno stato di diritto, con lo stabilire e regolare la divisione dei poteri dello Stato e nell\'assicurare l\'autonomia e indipendenza della Magistratura, oltrechè nel riconoscere (in primis con l\'art. 2) i diritti inviolabili dell\'uomo, i diritti di libertà, civili e politici, dei singoli cittadini; ossatura che risulta granitica (e che sembrerebbe, dunque, poter prescindere dalla XII disposizione transitoria finale) in ragione del fatto che è Costituzione rigida (art. 138) e ulteriormente garantita dalla norma di “chiusura” del sistema prevista dall\'art. 139 (“la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”); norma, quest\'ultima, che va interpretata in maniera estensiva, sì da ritenere non soggette a revisione tutte le disposizioni costituzionali relative alla sussistenza dello stato di diritto.

Tutto ciò detto, dobbiamo ancora rispondere alla domanda che ci siamo posti.

Ebbene, alla domanda si può cominciare a rispondere, leggendo il secondo comma della XII disposizione transitoria e finale dove si trova scritto che “*in deroga all\'articolo 48 (che indica i requisiti per l\'elettorato attivo) sono stabilite con leggi, per non oltre un quinquiennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista*”.

Questa disposizione fa comprendere, senza ombra di dubbio alcuno. che i Costituenti si rendevano perfettamente conto che il fascismo non era morto con la fine di Mussolini.

Essi intesero bene che i vent\'anni del regime e la presenza più che ventennale del movimento fascista, non erano, come pensava Benedetto Croce, una parentesi nello stato liberale, un\'aberrazione che non avrebbe lasciato tracce dopo il suo crollo (quello della RSI) del1945.

I Costituenti avevano ben presente le piazze piene di cittadini in delirio per il Duce e avevano ben presente la lezione di Piero Gobetti quando aveva parlato del fascismo come autobiografia della nazione.

Con il senno di poi, non possiamo che concordare pienamente con la previsione e la previdenza dei Costituenti e lo possiamo fare in ragione di ciò che ci separa dal 1948, della storia che nel frattempo si è dipanata, senza dimenticare le radici socio culturali del fascismo.

Sul punto, basterà semplicemente confrontare la nostra attualità con quanto indicava Umberto Eco nell\'elencare nel suo “il Fascismo eterno”: una lista di caratteristiche tipiche di quello che lui chiamava, appunto l' “Ur-Fascismo”, o il “fascismo eterno”.

A distanza di quasi cent\'anni, possiamo tranquillamente riconoscere che non abbiamo ancora fatto i conti fino in fondo con la storia e la storia ritorna a ricordarcelo.

Non l\'abbiamo fatto come popolo, al di là della evidenza di quel consenso di cui si parlava che non può essere dimenticato e delle dinamiche interne alle società di massa e “liquide”, tanto più oggi che viviamo la crisi delle liberal- democrazie.

La giustificazione che “tutti” dovevano essere iscritti al partito se volevano campare (PNF ossia “Per Necessità Familiari”) ha contribuito a liquefare l\'epurazione a tutti i livelli mentre il mito tranquillizzante “italiani brava gente” ha cancellato, da quei “conti”, i massacri nell\'Africa coloniale o le atrocità commesse nei Balcani dai nostri compatrioti.

Ma non l\'abbiamo fatto, a maggior ragione e fino in fondo, a livello di istituzioni dello Stato.

La continuità dell\'ordinamento repubblicano democratico con le strutture della dittatura fascista è stata questione di uomini, anche pesantemente compromessi con il regime, uomini che sono rimasti ai loro posti, che hanno continuato a “servire” la patria.

E questo vale anche e soprattutto per la magistratura: per un certo periodo l\'organo apicale dell\'ordinamento giudiziario è la Corte di Cassazione (almeno sino al 1956 anno in cui entra in funzione la Corte Costituzionale). E ancora nel 1968, tutti i 524 magistrati di Cassazione erano entrati in servizio prima del 1944, il che significa che l'alta magistratura, da cui venivano estratti la maggioranza dei componenti togati del Csm, i presidenti e i procuratori generali delle corti di appello, era ancora esclusivamente di nomina fascista.

Conseguenza certamente legata a questa dato di fatto e la giurisprudenza, aberrante, che si sviluppò in relazione alla normativa finalizzata a sanzionare le condotte criminali fasciste e cioè il decreto legislativo luogotenenziale del 27 luglio 1944 n. 159 e l\'interpretazione degli altri strumenti legislativi in vigore nel secondo dopoguerra come l\'amnistia “Togliatti”, del 22 giugno 1946, il decreto presidenziale n. 4.

Sul punto si ricordano le interpretazioni accomodanti che furono seguite per scagionare i criminali fascisti e le modalità con le quali le stesse norme venivano interpretate in modo restrittivo nei confronti dei partigiani.

Certamente, si deve considerare le nuove evenienze che si andavano sviluppando: la divisione del mondo in due blocchi e il fatto che il nuovo nemico si chiamava “comunismo”; sicchè, c\'era proprio bisogno che l\'epurazione non andasse in profondità e gli apparati di provata fede anticomunista rimanessero integri.

Quale esempio più eclatante è possibile ricordare degli “armadi della vergogna”: è fatto storico che nel 1994 il procuratore militare Antonino Intelisano (incaricato di istruire il processo contro l\'ex SS Erich Priebke) rinvenne nella sede della Procura Militare di Roma, un armadio, con le ante rivolte verso il muro, nel quale c\'erano fascicoli di decenni prima, \“archiviati provvisoriamente\”, che riguardavano le più importanti stragi nazifasciste del periodo bellico (come l\'eccidio di Sant\'Anna di Stazzema, delle Fosse Ardeatine, di Monte Sole (più noto come strage di Marzabotto), e tante altre.

Tra i fascicoli anche un documento secret redatto dal comando dei servizi segreti britannici, dal titolo Atrocities in Italy (Atrocità in Italia), con all\'interno il frutto di accurate indagini (comprensive di testimonianze) su episodi di violenze commessi nazifascisti, che, al termine della guerra, era stato consegnato ai giudici italiani per essere, poi, come visto, “provvisoriamente” archiviato.

E per tornare alla continuità tra regime fascista e stato liberal democratico, basterà ricordare che, ancora oggi, il nostro codice penale è il Codice Rocco“ del 1930 (r.d n. 1398 del 19 ottobre 1930) e il nostro codice nuovo di procedura penale (istitutivo del modello “accusatorio”, seppur spurio, a scapito di quello “inquisitorio”) è datato 1988, introdotto quasi in concomitanza (tutt\'altro che casuale) con la “caduta del muro di Berlino” e più in generale con il crollo del socialismo reale.

Del resto, nel nostro ordinamento, vige ancora il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del R.D. n. 635 del 18 giugno 1931 n. 773 (e il suo regolamento del 6 maggio 1940 n. 635): vero strumento liberticida del regime fascista e che, non per nulla, fu oggetto della prima sentenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 1 del 14 giugno 1956) demolitiva dell\'art. 113, sulla “stampa”.

Ma la Storia successiva all\'entrata in vigore della Costituzione è costellata di riscontri alla previsione dei nostri Costituenti: ed ecco gli innumerevoli tentativi di colpo di stato da parte di fascisti e neo-fascisti, la stagione della strategia della tensione, con le stragi fasciste e l\'utilizzo in chiave anticomunista della manovalanza neofascista anche da parte di apparati dello Stato, con le successive coperture e depistaggi da parte di quegli stessi apparati finalizzati per assicurare poi l\'impunità propria e quella dei neofascisti coinvolti.

Oggi, in Italia, dove accade anche che un giornalista vive sotto protezione per le minacce ricevute perchè autore di libri-inchiesta (Paolo Berizzi, autore dell\'imprescindibile “Naziitalia. Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista”), i dati della “galassia nera”, i dati recensiti, che si possono reperire, ci parlano (dal 2014 al 2018) di centinaia di episodi riconducibili all\'estreme destra (intimidazioni atti di violenza danneggiamenti, attentati, omicidi) e centinaia le persone denunciate[^15]

Questi ed altri gruppi facenti parte della “galassia nera” operano da un lato nell\'ambito della “politica ufficiale” e dall\'altro nel tessuto sociale, soprattutto in favore degli gli strati più deboli della popolazione (italiana), per trovare una legittimazione da parte dell\'opinione pubblica.

A titolo esemplicativo del contesto di questo proselitismo, si va dal mondo giovanile e studentesco (Blocco Studentesco); al lavoro, (Sindacato blu); all\'ecologia, (“La foresta che avanza”); alla solidarietà (“La salamandra”); alla salute e sicurezza, (“Impavidi Destini”, “Braccia tese”).

Notevole, infine, anche la presenza massiccia sui social network e sul dark web oltre che nelle tifoserie calcistiche (es. “Brigate Gialloblu” del Hellas Verona fondato nel 1971 e si sviluppano tra il richiamo alle Brigate nere mussoliniane e la nascita del Veneto fronte skinhead).

Si mira, in definitiva, alla caduta della pregiudiziale sulle manifestazioni di quella ideologia, la sua normalizzazione e persino l\'accettazione di un tasso di violenza squadrista allarmante; vi è, anche, nell\'opinione pubblica un atteggiamento di noncuranza con riferimento alle manifestazioni connotate di illiceità in sé del neofascismo. E quando si levano le voci allarmate di chi paventa un ritorno del fascismo, l\'atteggiamento sembra quello di chi considera il fenomeno “nero” come qualcosa di residuale, di scarsa importanza e/o inattuale.

Questo il quadro storico che ci divide temporalmente dalla previdente scelta dei nostri Costituenti, la cui avvedutezza è stata, peraltro, recentemente riconosciuta dalla Cassazione che ha considerato la XII disposizione norma sempre attuale dal momento che, *”le esigenze di tutela delle istituzioni democratiche non risultano, infatti, erose dal decorso del tempo\… frequenti risultano gli episodi ove sono riconoscibili rigurgiti di intolleranza ai valori dialettici della democrazia e al rispetto dei diritti delle minoranze etniche o religiose“* (cfr,. Cass. n. 37577/2014).

Tutto ciò, in definitiva, ci dà il senso dell\'importanza dell\'inserimento nella Costituzione della XII disposizione transitoria e finale che deriva dalla sempre attuale necessità di vigilare sulla presenza in Italia del fascismo che non ha mai smesso di rappresentare un pericolo per le istituzioni democratiche (una forma di Stato totalitario, di polizia, alieno dal riconoscere i diritti di libertà, civili e politici e fondato sull\'uso della violenza come strumento di lotta politica).

d) L'attuazione della XII disposizione


Ebbene, Ebbene, non ci rimane ora da considerare in che termini è stata data attuazione dal punto di vista normativo alla XII disposizione.

Si deve subito dire che la scelta del Legislatore è stata quella di rispondere con una legislazione incentrata sulla sanzione penale.

Innanzi tutto, va richiamata la legge 20 giugno 1952, n. 645, recante “norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale, comma primo, della Costituzione” (c.d. legge Scelba).

Questa legge ha aperto la strada alle successive fattispecie incriminatrici di discriminazione razziale introdotte dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654 (c.d. legge Reale), di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale di New York sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, le cui disposizioni sono state successivamente modificate dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. legge Mancino), concernente “misure urgenti in materia di discriminazione razziale etnica e religiosa”.

Con il decreto legislativo 1 marzo 2018 n. 221, poi, il testo delle disposizioni di cui all'art. 3 della l. n. 654/1975 ed all'art. 3 del d.l. n. 122/1993, poi modificato dalla legge Mancino, è stato integralmente trasfuso nelle nuove fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 604-bis e 604-ter nel codice penale, con contestuale abrogazione delle norme originarie.

Per risolvere i possibili casi di interferenza con le disposizioni della legge n. 645 del 1952, le ipotesi di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull\'odio razziale o etnico o di istigazione a tale attività di discriminazione (art. 604-bis, comma 1, lett. a) o alla commissione di violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. b), previste dalla legge Mancino, sono caratterizzate da una clausola di riserva generale – espressione del principio di sussidiarietà – che ne impone l'applicazione solo nel caso in cui le condotte non siano punite in modo più grave da altra disposizione.

Più di recente, infine, la legge 16 giugno 2016, n. 115 ha dato rilievo penale, attraverso alla previsione di una specifica ipotesi di aggravante, alle asserzioni negazioniste della Shoah e dei crimini contro l'umanità previsti dalla Statuto della Corte Penale Internazionale, prendendo atto delle esigenze e delle spinte della comunità internazionale verso la previsione di forme di tutela penale della “memoria”.

Più specificamente, la legge Scelba (legge 20 giugno 1952, n. 645) chiarisce il perimetro applicativo della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista[^16].

Quanto alle ulteriori disposizioni[^17], tra le altre vi sono quelle collegate alla “legge Mancino”, dl 26 aprile 1993, n. 122, con norme rilevanti in materia[^18] .

Con il decreto legislativo 1 marzo 2018 n. 221, in attuazione della delega di codificazione penale, il testo delle disposizioni di cui all'art. 3 della l. n. 654/1975 ed all'art. 3 del d.l. n. 122/1993, poi modificato dalla legge Mancino, è stato integralmente trasfuso nelle nuove fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 604-*bis* e 604-*ter* nel codice penale, con contestuale abrogazione delle norme originarie.

e) Legge Scelba


Negli ultimi anni si è registrato un sensibile aumento dei casi in cui, in occasione di eventi svoltisi in luogo pubblico o aperto al pubblico, singoli e gruppi hanno dato luogo a manifestazioni che si richiamano esplicitamente al fascismo.

Le relative condotte (saluto romano; chiamata del “presente!”; ostentazione di immagini, vessilli e simboli propri del regime fascista ecc.) non vengono quasi mai impedite dalle Forze dell'ordine e raramente i loro autori vengono identificati, con il risultato che il giudice penale è solo sporadicamente investito della valutazione circa la liceità di tali condotte; a ciò si aggiunga che i differenti tribunali – e talvolta, addirittura, i diversi giudici dello stesso tribunale - pervengono a conclusioni diametralmente opposte, con ciò precludendo il formarsi di un orientamento giurisprudenziale chiaro e univoco.

Rispetto alle ipotesi di reato previste dalla legge Scelba (n. 645 del 20 giugno 1952), il differente approdo cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità e di merito si spiega con la loro ricostruzione quali reati di pericolo concreto, nel senso che gli stessi possono ritenersi consumati solo se si accerti che la condotta dell'agente ha creato il pericolo concreto di riorganizzazione del disciolto partito fascista.

Le norme in questione, dunque, non forniscono un'elencazione delle condotte vietate perché le stesse non sono pericolose in quanto tali, ma solo in quanto rendano concreto il rischio paventato, che deve essere accertato sulla base di elementi indiziari o sintomatici la cui valutazione può avere come risultato risposte contradditorie.

Per tali effetti, la medesima condotta può configurare o meno la “Riorganizzazione del partito fascista” vietata dall'art. XII delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione, e sanzionata dall'art. 1 della legge Scelba, sulla base delle specifiche circostanze di tempo e luogo nonché delle modalità con cui venga posta in essere; è evidente, tuttavia, che i parametri per ritenere sussistente il relativo pericolo siano estremamente labili.

Ad analoghe conclusioni il giudice di legittimità è pervenuto anche rispetto al reato di “Apologia del fascismo”, previsto dall'art. 4 della legge Scelba, e a quello di “Manifestazioni fasciste”, di cui al successivo art. 5. Più in generale, è stato ribadito che, in ragione delle libertà garantite dall\'art. 21 della Costituzione, le manifestazioni del pensiero e dell\'ideologia fascista non sono sanzionabili in sé, e che le istanze repressive sottese alle fattispecie di istigazione e apologia devono armonizzarsi non solo con la libertà di manifestazione del pensiero, ma anche con il principio di offensività, come chiarito dalla Corte costituzionale.

Deve peraltro rilevarsi che le manifestazioni di cui si verte sono spesso promosse da organizzazioni confluiti in veri e propri partiti senza che le pubbliche autorità abbiano adottato alcun provvedimento per pervenire al loro scioglimento e alla confisca dei loro beni, come invece previsto dall'art. 3 della legge Scelba.

f) Il saluto fascista tra legge Scelba e legge Mancino


Appare poi urgente e necessario un intervento giurisprudenziale, in tema di saluti fascisti e simili.

Come noto, un nuovo modo di guardare l\'applicazione della legge penale si è fatto strada a livello europeo (vedasi Corte di Giustizia europea Sez. I, del 11/06/20) con ricadute anche nel nostro sistema giudiziario (vedasi caso “Contrada”, CEDU Sez. IV , del 14/04/15), affermando che la legittimità della sanzione penale è legata alla prevedibilità giurisprudenziale.

Se così è, occorre un orientamento chiaro in tema di punibilità della manifestazione pubblica di matrice fascista. In particolare occorre una chiara indicazione nell\'esegesi logico-giuridica rispetto a saluti fascisti, labari della RSI, svastiche, fasci littori, “Duce Duce” e altre amenità di tale segno.

Dopo diversi decenni di tortuosità ermeneutiche sul punto, restano in piedi due orientamenti contrastanti. Di tale contrasto sono manifestazione due sentenze della I Sez. della Corte di Cassazione n. 3806/2022, udienza del 19/11/2021 e n. 7904/2022 udienza del 12/10/21.

Brevemente i fatti.

Nella sentenza numero 7904 del 2022 udienza 12 ottobre 2021, prima sezione penale della Corte di Cassazione, si trattava di una cerimonia commemorativa dei Caduti della Repubblica Sociale Italiana all\'interno del Cimitero Maggiore di Milano del 25 Aprile 2016, in cui alcuni soggetti compivano manifestazione usuali del disciolto partito fascista quali la chiamata del presente e saluto romano.

Nel primo grado di giudizio il Tribunale di Milano, con sentenza del 30 aprile 2019, qualificava i fatti nell\'articolo 5 della legge Scelba assolvendo gli imputati perché il fatto non sussiste, dal momento che nel fatto non si sarebbe ravvisata una concreta idoneità delle condotte a determinare il pericolo di ricostituzione del disciolto partito fascista. La Corte d\'Appello di Milano, il 22 novembre 2019, nel ripristinare l\'originaria qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell\'articolo 2 del decreto legge n 122 del 1993, affermava la responsabilità degli imputati.

La Suprema Corte, nella sentenza menzionata, annulla senza rinvio la sentenza della Corte d\'Appello perché il fatto non sussiste.

Al contrario la sentenza della Cassazione, sezione prima, numero 3806 del 2022 udienza 19 novembre 2021, confermava la sentenza di condanna della Corte d\'Appello di Milano che, in totale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano in data 13 giugno 2019, affermava la responsabilità penale degli imputati ai sensi dell\'articolo 2 del decreto legge numero 122 del 1993; costoro, nell\'ambito di una pubblica manifestazione commemorativa, manifestavano per i caduti della rivoluzione fascista coincidente con anniversario della fondazione dei Fasci di combattimento, iniziativa promossa dall\'associazione Dharma Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale e della Associazione Nazionale Arditi d\'Italia.

La divergenza emersa dal primo e secondo grado aveva ad oggetto la rilevanza penale della condotta e in particolare, ancora una volta, la questione di diritto se il rituale sopra descritto, lettura dei nomi dei Caduti cui seguiva la risposta del presente con conseguente saluto romano, fosse qualificabile alla stregua della violazione della norma incriminatrice di cui all\'articolo 2 del legge numero 205 del 1993 oppure se ricadesse piuttosto sotto la legge Scelba

Ebbene cominciando dalla prima sentenza n. 7904/22, la decisione della Corte di Cassazione affronta il problema della plurima riqualificazione giuridica dei fatti in base alla lettura della nozione di specialità di cui all\'articolo 15 del cod. pen.

Sul punto scrive la Cassazione di ritenere del tutto impropria l\'adozione, da parte del Giudice di merito, nel caso in esame, della categoria dogmatica della specialità di cui all\'articolo 15 del codice penale[^19].

Ma il Collegio della Suprema Corte va anche oltre nella sua analisi o “chiarimento” demolitivo perchè dapprima richiama, la sentenza della Cassazione, sempre prima sezione, n. 21409 del 27/3/2019 così massimata: *”il cosiddetto “saluto romano” o “saluto fascista” (nella specie accompagnato dalla espressione “presenti e ne siamo fieri”) è una manifestazione esteriore propria od usuale di organizzazioni gruppi indicati nel d. l. n. 122 del 1993 \… ed inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull\'odio razziale etnico“; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall\'articolo 2 del citato d.l”,* aggiungendo che *“nella motivazione di tale decisione si afferma ….che “il saluto fascista” ben può rientrare nella previsione incriminatrice di cui all\'articolo 2 d. l. n. 122 del 1993 trattandosi di una \<manifestazione gestuale che rimanda alla ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e intolleranza\>, il tutto in una dimensione di pericolo astratto. Vengono citate a sostegno della assunto, Sez prima n. 25184 del 4.3.2009, \… e Sez. III n. 37390 del 10 luglio 2007\….”*

In seguito, chiarendo la propria contraria valutazione, viene scritto in sentenza che *“il Collegio esprime dissenso verso un simile inquadramento delle condotte punibili, atteso che nelle decisioni di cui sopra non viene esaminato il profilo - da ritenersi ineludibile - della inerenza delle manifestazioni o gestualità ad associazioni o gruppi attivi e presenti nella realtà fenomenica attuale, cui si riferisce la disposizione incriminatrice in modo espresso (\… propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all\'art. 3 legge n. 654 del 1975) gruppi che vanno previamente identificati, allo scopo di comprendere se si tratti di aggregazioni umane che hanno tra i propri scopi l\'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali etnici nazionali o religiosi. Ciò in aderenza ai principio di tassatività delle norme incriminatrici e necessaria corrispondenza tra fatto concreto e fattispecie astratta”.*

La conclusione di quanto argomentato, porta a concludere la Suprema Corte nel senso di sottolineare che *“nel caso in esame, il profilo descrittivo dell\'accusa e la stessa attività istruttoria svolta nei due gradi di giudizio di merito hanno inquadrato non già la ascrivibilità del gruppo “Lealtà e Azione” (pur indicato nella contestazione) al novero dei gruppi “vietati” ai sensi dell\'articolo 3 l. n. 654 del 1975, quanto incentrato la ricostruzione sull\' avvenuto utilizzo delle manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, in un contesto innegabilmente commemorativo dei Caduti della RSI. Ne deriva la considerazione di un corretto inquadramento giuridico della fattispecie nei termini espressi dal Tribunale di Milano ai sensi dell\' art. 5 l. il n. 654 del 1952, con presa d\'atto dell\'assenza di profili in fatto valorizzabili in chiave di punibilità, per assenza del pericolo concreto di ricostituzione del disciolto partito fascista, profili non apprezzati nemmeno dal giudice di secondo grado in virtù della - illegittima, per quanto finora esposto - operazione di riqualificazione del fatto”*

Ebbene, “in direzione ostinata e contraria” la sentenza, n. 3806 sempre della prima sezione; in essa dapprima si chiarisce che *“la divergenza emersa dal primo e secondo grado ha per oggetto la rilevanza penale della condotta cioè la questione di diritto se il rituale … lettura dei nomi dei Caduti cui seguiva la risposta del presente con conseguente saluto romano, sia qualificabile alla stregua della violazione della norma incriminatrice di cui all\'articolo 2 del l. n. 205 del 1993 oppure se ricada piuttosto sotto la legge Scelba”*. Sul punto nella sentenza vengono, poi, descritti i rapporti tra le condotte di cui all\'art. 2 l. n. 205 del 1993 e articolo 5 l. n. 645 del 1952, specificando che sussiste un\'ipotesi di specialità ex articolo 15 del cod. pen. della seconda fattispecie legge Scelba rispetto alla prima legge Mancino. Il Collegio fornisce un\'approfondita motivazione scrivendo che *“va innanzitutto evidenziato che il legislatore quando è intervenuto nel 1993 \… ha chiaramente mostrato di voler introdurre nell\'ordinamento l\'articolo 2 della l. n. 205 del 1993 mantenendo espressamente in vigore le previsioni della legge Scelba, il cui testo normativo è stato contestualmente emendato e aggiornato alle nuove esigenze punitive, ferma restando la apparente omogeneità delle condotte sanzionate, incentrate sul compimento di atti esteriori simbolici propri dei gruppi che propugnano le idee vietate”.* *Infatti l\'articolo 4 l. n. 205 del 1993 ha espressamente sostituito il secondo comma dell\'articolo 4 della l. n. 645 del 1952, mantenendo in vigore entrambi i testi normativi con la “consapevolezza che, alla luce della consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, la condotta vietata dalla legge Scelba richiede altresì uno specifico rischio che, invece, non è richiesto dalla fattispecie generale di cui all\'art. 2 l. n. 205 del 1993.* *L\'art. 2 della l. n. 205 del 1993*, continua il Collegio, *è in effetti la fattispecie generale che sanziona le manifestazioni esteriori, suscettibili di concreta diffusione, dei simboli e rituali dei gruppi o associazioni che propugnano idee discriminatorie: le medesime condotte sono sanzionate dalla art. 5 l. n. 645 del 1952, ma soltanto allorquando si ravvisa quel particolare pericolo concreto che attiene alla riorganizzazione del disciolto partito fascista.* *Del resto in disparte l\'elemento specializzante previsto dalla legge Scelba le due fattispecie sono identiche dal punto di vista sanzionatorio come pure sono del tutto sovrapponibili le condotte incriminate”.* Partendo da questi presupposti, la Suprema Corte in questa sentenza afferma che *“ciò che rileva per selezionare le fattispecie alla luce del principio di specialità di cui all\'articolo 15 cod. pen. è la \<intenzione del legislatore il quale, dichiarando espressamente di voler impedire la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ha inteso vietare e punire non già una qualunque manifestazione del pensiero, tutelata dall\'articolo 21 della Costituzione, bensì quelle manifestazioni usuali del disciolto partito che, come si è detto prima, possono determinare il pericolo che si è voluto evitare\…. La ratio della norma non è concepibile altrimenti, nel sistema di una legge dichiaratamente diretta da attuare la disposizione XII della Costituzione. Il legislatore ha compreso che la riorganizzazione del partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni pubbliche capaci di impressionare le folle; ed ha voluto colpire le manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il pericolo di tale ricostituzione\> ( Corte Costituzionale sentenza n. 74 del 1958)”.* Evidente, a questo punto, che la differenza sostanziale che riguarda i due approdi giurisprudenziali concerne la circostanza che il richiesto pericolo di ricostituzione del partito fascista non sarebbe, secondo quanto argomentato nella sentenza n. 3806/22, un aspetto interpretativo della norma quanto un elemento precipuo e caratterizzante la fattispecie contenuta nella legge Scelba[^20]. Per la Corte di Cassazione, in definitiva, fu corretta la qualificazione normativa dei fatti addebitati agli imputati, essendo ai medesimi contestato di aver compiuto delle manifestazioni esteriori simboliche ed evocative del regime fascista, da qualificarsi alla stregua dell\'art. 2 legge n. 203 del 1993, non essendo stata contestata l\'idoneità a costituire un pericolo per la ricostituzione del disciolto partito fascista che avrebbe piuttosto configurato la violazione dell\' articolo 5 legge numero 645 del 1952. Dopo la lettura di queste due sentenza della Suprema Corte, come si diceva prima, ci si deve aspettare che la querelle continui, con nuovi capitoli e canoni interpretativi che generino ulteriore disorientamento negli interpreti oltre a possibili sacche di impunità in relazione alla normativa di attuazione della XII disposizione, oppure che le questioni più dibattute siano affidate SSUU, o ancora che il Legislatore introduca norme chiare e semplici come quelle che sono state inserite nelle proposte di legge di iniziativa popolare e parlamentare, ma fino ad ora sempre disattese. Da parte nostra auspicheremmo che la lettura della normativa che viene esplicitata dalla sentenza n.3806/22, venisse implementata da una considerazione in ordine alla fattispecie di cui all\'art. 5 della legge Scelba, con riferimento alla necessità del pericolo concreto di ricostituzione del partito fascista di cui alla sentenza n. 74/1958 della Corte Costituzionale. In particolare, noi riteniamo che la manifestazione fascista, di qualunque tipo essa sia, costituisce di per sé un pericolo per lo Stato democratico fondato sulla Costituzione repubblicana perchè intrinsecamente finalizzata alla ricostituzione del partito fascista, mentre la concretezza di tale pericolo deriva esclusivamente dalla valutazione del contesto pubblico, cioè al momento e ambiente, in cui essa si verifica. In questi termini, anche la possibile obbiezione di violare il diritto di cui all\'art. 21 Cost., sarebbe infondata, sulla scorta di quanto più volte statuito dalla giurisprudenza e cioè che il diritto alla libera manifestazione del pensiero non può giustificare atti o comportamenti che, pur se esternazione di proprie idee e convinzioni, siano lesivi di altri principi di rilevanza costituzionale e dei valori tutelati dall'ordinamento giuridico interno e internazionale. Sul punto, è stato scritto, ad esempio, che tutte le forme di discriminazione razziale costituiscono anche violazione dell\'applicazione del fondamentale principio di uguaglianza indicato nell'art. 3 Cost., “sicché è ampiamente giustificato il sacrificio del diritto di libera manifestazione del pensiero”. Si è altresì specificato che le idee assumono portata di discriminazione e odio razziale quando contengono *“il germe della sopraffazione od enunciazioni filosofico-politico-sociali che conducano a discriminazioni aberranti col pericolo che ne derivi odio, violenza e persecuzione. La diffusione di tali ideologie produce la lesione della dignità dell'uomo e delle condizioni di pacifica convivenza democratica, fondate sulla reciproca tolleranza fra popolazioni di differente cultura ed etnia”* (Cass., Sez. 1, n. 3791 del 30/09/1993, Freda, in *CED*, Rv. 196583) Concetti questi espressi anche a livello di Corte europea dei diritti dell\'uomo che più volte ha sentenziato che non può essere invocato l\'art. 10 della convenzione che statuisce il principio di libertà di pensiero, da chi compie un atto che mira alla distruzione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione medesima, abusandone, in base all\'art. 17 della Convenzione europea (ad esempio il caso della sentenza del 21 ottobre 2015 riguardava un ingiuria pubblica aggravata dalla componente razzista). Tutto ciò, naturalmente, ci porta a concludere che la mancata introduzione di norme chiare nel sanzionare la manifestazione pubblica di matrice fascista derivi solo ed esclusivamente da motivi e volontà di natura politica. g) Limiti alla propaganda politica ———————————- Una recente sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte (n. 447/2019 del 18 aprile 2019.) ribadisce l'attitudine dei principi fondamentali a conformare direttamente la funzione pubblica, e rammenta l'intensa correlazione sussistente fra diritti e doveri nella trama costituzionale. La rappresentante piemontese di una formazione della destra extraparlamentare chiedeva al comune di Rivoli l'assenso a collocare un gazebo – per ragioni di propaganda politica – nella via cittadina intitolata a due giovani partigiani, i fratelli Arduino e Agostino Piol (quest'ultimo insignito della medaglia d'oro al valor militare). Alcuni mesi prima il locale consiglio comunale aveva vincolato la giunta a sollecitare – nei riguardi di tutti gli aspiranti concessionari di suolo pubblico – la formalizzazione di una dichiarazione, attestante il ripudio del «fascismo» e del «nazismo», nonché l'adesione «ai valori dell\'antifascismo posti alla base della Costituzione repubblicana, ovvero i valori di libertà, di democrazia, di eguaglianza, di pace, di giustizia sociale e di rispetto di ogni diritto umano, affermatisi nel nostro Paese dopo una ventennale opposizione democratica alla dittatura fascista e dopo i 20 mesi della Lotta di Liberazione dal nazifascismo». L'interessata si impegnava per iscritto a «riconoscersi nei valori della Costituzione, \[a\] non voler ricostituire il disciolto Partito Fascista, \[a\] non voler effettuare propaganda razzista o comunque incitante all'odio», così come «a rispettare tutte le leggi ed i regolamenti del nostro ordinamento giuridico». L'omissione di ogni riferimento alla Lotta di Liberazione, tuttavia, induceva l'amministrazione a ritenere incompleta – e, dunque, inadeguata – la produzione dell'istante, e comportava il rigetto della richiesta. Ne scaturiva un contenzioso giudiziario, definito dalla seconda sezione del succitato Tribunale con la decisione n. 447 del 18 aprile 2019. La pronuncia si distingue per la cristallina riaffermazione di alcuni capisaldi dell'intelaiatura costituzionale, confrontandosi con l'estensione dei diritti di libertà e il mosaico assiologico della Repubblica. La premessa del percorso decisorio è data dall'affermazione – compiuta con provvidenziale franchezza – della limitatezza dei diritti fondamentali. Soltanto a una narrazione malaccorta – ancorché disgraziatamente fortunata – le situazioni giuridiche enunciate in Costituzione possono apparire incondizionate. Ma, se così fosse, presto o tardi la loro incontenibilità ne snaturerebbe l'essenza, autorizzando la tirannia di alcune a discapito di altre. L'intera evoluzione del discorso sui diritti fondamentali è permeata dalle esigenze del bilanciamento: non a caso, una feconda parte dell'elaborazione pretoria – riveniente sia dai giudici comuni sia dalla Consulta – affida al canone di ragionevolezza l'armonizzazione delle molteplici istanze emergenti dalla quotidianità. La composizione reciproca dei diritti di matrice costituzionale ambisce, pertanto, a scongiurare il rischio della disgregazione delle fondamenta dell'ordinamento, verosimilmente scaturente dall'ipotesi d'indiscriminata prevalenza di un diritto su quelli rimanenti: nella consapevolezza di come gli assolutismi giuridici non possano trovare asilo all'interno del perimetro costituzionale. Ciò vale vieppiù per la libertà di manifestazione del pensiero (politico), pure invocata dalla ricorrente a sostegno della denunziata antigiuridicità del provvedimento comunale da lei avversato. Operando una sintetica ma esaustiva ricognizione dei principali snodi normativi individuabili in materia, il Tribunale amministrativo puntualizza la fallacia dell'argomento a mente del quale la libertà d'esternazione e propaganda di cui all'art. 21 della Costituzione legittimi ogni forma di proselitismo politico, e sottragga alla pubblica autorità il compito di saggiarne – sebbene estrinsecamente – la consonanza all'assetto valoriale scolpito in Costituzione. «*I valori dell'antifascismo e della Resistenza e il ripudio dell'ideologia autoritaria propria del ventennio fascista sono valori fondanti la Costituzione repubblicana del 1948, \[…\] perché sottesi implicitamente all'affermazione del carattere democratico della Repubblica italiana e alla proclamazione solenne dei diritti e delle libertà fondamentali dell'individuo*», precisa il Collegio. È bene sottolineare come la motivazione della sentenza riposi non già su considerazioni moraleggianti bensì su specifici addentellati positivi – fra i quali la XII disposizione transitoria e finale della Carta, e l'art. 1, legge n. 645/1952 – la cui lettura circolare consente al Tribunale di esplorare i margini entro i quali si posiziona la libertà in discorso, incompatibile – come osservato dalla pronuncia – con la denigrazione dei «valori della resistenza». Per questa via, la statuizione perviene al proprio passaggio baricentrico. Il generico richiamo all'osservanza della Costituzione – quand'anche apertamente professato dalla richiedente – si dimostra apparente, insincero e stilistico, laddove deliberatamente mutilato della sua naturale conclusione: la condivisione sostanziale del significato ascrivibile alla Lotta di Liberazione, evidentemente invisa all'interessata e conseguentemente taciuta nella sua dichiarazione d'intenti. Il giudice amministrativo rimarca, in proposito, come «*Dichiarare di aderire ai valori della Costituzione, ma nel contempo rifiutarsi di aderire ai valori che alla Costituzione hanno dato origine e che sono ad essa sottesi, implicitamente ed esplicitamente, significa vanificare il senso stesso dell'adesione, svuotandola di contenuto e privandola di ogni valenza sostanziale e simbolica*». h) La Lista CasaPound ——————— Il movimento CasaPound ha spiccate caratteristiche di tipo fascista. In primo luogo, sono gli stessi esponenti di CasaPound a definirsi fascisti. Sono numerose le dichiarazioni e le interviste rilasciate dagli attivisti nelle quali i medesimi si qualificano come fascisti, dicono di essere ispirati da ideologia e personalità fasciste, ed elogiano le politiche attuate nel ventennio fascista[^21]. In secondo luogo, si deve sottolineare come tanto a livello nazionale, quanto a livello locale (e nello specifico ad Ostia, dove si terrà la competizione elettorale che interessa in questa sede), gli esponenti di CasaPound si siano resi colpevoli di numerosissimi casi di violenza. Si veda, ad esempio, il doc. 1, nel quale si rende noto che tra il 2011 e l'inizio del 2016 (l'articolo è del 4 febbraio 2016) sono stati arrestati ben 20 fra militanti e simpatizzanti di Casapound. Nello stesso periodo i denunciati sono stati 359. Nei 106 scontri avuti con gli \“antagonisti\” si sono rimasti feriti (in alcuni casi anche gravemente) ben 24 attivisti di entrambi i fronti. In questa sede appare opportuno segnalare che moltissimi episodi di violenza hanno interessato proprio la zona di Ostia[^22], Quanto sopra è confermato dal [programma ufficiale]{.underline} del movimento Casa Pound[^23] In primo luogo appare molto chiaro l'art.15 del programma: *“Democrazia” è stato, fino ad oggi, il nome di una truffa. Se i politici sono camerieri dei banchieri – come accade oggi – significa che la “sovranità popolare” viene svuotata in favore dei poteri forti di tipo economico, criminale, confessionale o sovranazionale. I centri decisionali per eccellenza, del resto, oggi sono concentrati in istituzioni e potentati non elettivi e puramente castali. Noi riteniamo tuttavia che possa esistere un\'altra forma di democrazia che sia organica e qualitativa. Democrazia come partecipazione di un popolo al proprio destino. Momento cruciale della politica, posto che per noi la partecipazione è la base di ogni organismo politico sano, così come la decisione ne costituisce l'altezza e la selezione la profondità“.* Quest'ultima frase *(“la decisione ne costituisce l'altezza e la selezione la profondità”)* è una citazione mussoliniana. “*La democrazia è la partecipazione di un popolo al proprio destino*” è invece tratta dal saggio *Il terzo Reich di Moeller Van Der Bruck.* *Il medesimo articolo del programma propugna la “Sostituzione del Senato con una Camera del lavoro che garantisca la rappresentatività armonica di tutte le categorie produttive e lavorative” in assonanza con la Camera dei fasci e delle corporazioni.* Nel programma si ravvisano alcune inequivocabili affermazioni di stampo fascista: Nella Introduzione si legge “*Lo Stato che vogliamo è uno [Stato etico]{.underline}, organico, inclusivo, guida e riferimento spirituale della comunità nazionale, uno Stato che torni a essere un fatto spirituale e morale”….* *Noi vogliamo un\'Italia libera, forte, fuori tutela, assolutamente padrona di tutte le sue energie e tesa verso il suo avvenire. Un\'Italia sociale e nazionale, secondo la visione risorgimentale, mazziniana, corridoniana, futurista, [dannunziana, gentiliana, pavoliniana e mussoliniana]{.underline}.”.* Dall'art. 2 “*La dittatura del libero mercato, le politiche miopi e servili dei vari governi sin qui succedutisi, lo [smantellamento dello stato sociale creato durante il Fascismo]{.underline}, obbligano gli italiani a subire la disoccupazione, la precarietà, la proletarizzazione e l'immigrazione forzata e incontrollata*”.Si propone dunque “*Politica [autarchica]{.underline} integrata nell'area europea*”. Dall'art. 4 “*Rifondazione culturale dell'Umanesimo del Lavoro, secondo l\'ispirazione fondamentale di Giovanni Gentile*” (ndr ministro dell'istruzione nei governi fascisti) Dall'art.12 “*In campo culturale proponiamo: – Creazione di un Ente nazionale di cultura che [coordini l\'intera produzione culturale nazionale in ogni ambito e settore]{.underline}”.* Dall'art.13 “*Estirpazione del lobbismo e della politicizzazione interna alla magistratura”* Dall'art. 14 , “*Contro la sottomissione nazionale, proponiamo: …Ripristino della [geopolitica degli “anni Trenta” verso il Mediterraneo]{.underline} e l'Oceano Indiano”* (ndr la geopolitica 'anni trenta' nel mediterraneo portò, tanto per dirne una, all'invasione dell'Albania nel 1939). Dall'art. 14 “*L'Italia non deve avere limitazioni su nessun sistema d'arma: dalle portaerei alle armi nucleari”.* Insomma, sebbene il programma eviti abilmente gli eccessivi richiami espliciti al fascismo, abbondano i riferimenti ed i rimandi alle parole d'ordine proprio del regime mussoliniano e la critica al sistema democratico. In base alle norme vigenti, quindi, la lista di CasaPound non può essere ammessa alla competizione elettorale. i) L'esclusione della lista ————————— Il potere di ricusare la lista che viola i precetti costituzionali (e della normazione primaria applicativa del precetto costituzionale, sopra richiamata), spetta alla commissione elettorale. Le istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature, elaborate dal Ministero dell'Interno nell'anno 2017, in relazione in particolare all'elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale, prevedono: “*3.4.4. Esame dei contrassegni di lista * *La commissione elettorale circondariale dovrà procedere, poi, all'esame dei contrassegni di lista.* *La commissione dovrà ricusare:* *(…)* *• i contrassegni in cui siano contenute espressioni, immagini o raffigurazioni che facciano riferimento a ideologie autoritarie (per esempio, le parole «fascismo», «nazismo», «nazionalsocialismo» e simili), come tali vietate a norma della XII disposizione transitoria e finale, primo comma, della costituzione e dalla legge 20 giugno 1952, n. 645*”. Su questo specifico aspetto si è pronunciato in termini chiarissimi il Consiglio di Stato, con la sentenza della sez. V, 6 marzo 2013, n. 1354, nella quale ha sostenuto: “*il diritto di associarsi in un partito politico, sancito dall'articolo 49 della Costituzione, e quello di accesso alle cariche elettive, ex articolo 51 della costituzione, trovano un limite nel divieto di riorganizzazione del disciolto partito fascista imposto dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione. Detto precetto costituzionale, [fissando un'impossibilità giuridica assoluta e incondizionata, impedisce che un movimento politico formatosi e operante in violazione di tale divieto possa in qualsiasi forma partecipare alla vita politica e condizionarne le libere e democratiche dinamiche]{.underline}. Va soggiunto che [l'attuazione di tale precetto]{.underline}, sul piano letterale come sul versante teleologico, [non può essere limitata alla repressione penale delle condotte finalizzate alla ricostituzione di un'associazione vietata, ma deve essere estesa ad ogni atto o fatto che possa favorire la riorganizzazione del partito fascista]{.underline}.* *Tale essendo il quadro costituzionale entro il quale si iscrive la disciplina che regola il procedimento elettorale e che fissa i poteri delle commissioni elettorali, si deve ritenere che gli articoli 30 e 33 del D.P.R. n. 570/1960 fissino i casi di esclusione e di correzione dei contrassegni e delle liste elettorali [presupponendo implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico alla stregua della XII disposizione]{.underline} di attuazione e transitoria della costituzione. In altri termini la normativa in parola, nello stabilire i casi di ricusazione dei contrassegni e delle liste, si riferisce a situazioni in astratto assentibili sul piano della superiore normativa costituzionale senza fungere da garanzia per situazioni già vietate, in via preliminare e preventiva, dall'ordinamento costituzionale. [L'impossibilità che il movimento o l'associazione]{.underline} a cui si riferisce il simbolo [o la lista]{.underline} partecipi alla vita politica postula quindi, in via implicita ma necessaria, il potere della commissione [di ricusare la lista]{.underline} o i simboli attraverso i quali si persegue il fine originariamente vietato dall'ordinamento giuridico*”*.* Dalla sopramenzionata sentenza emerge quindi un dato fondamentale. [Non solo il simbolo può essere ricusato dalla commissione, ma la lista in sé, laddove faccia capo ad un movimento o associazione di stampo neofascista.]{.underline} Infatti la norma , nel disciplinare l'ammissione della lista presuppone “*implicitamente la legittimazione costituzionale del movimento o partito politico alla stregua della XII disposizione di attuazione”.* Il potere di ricusazione della commissione si estende alla valutazione del presupposto di conformità alle norme costituzionali della lista. E' attribuito quindi “*in via implicita ma* *[necessaria]{.underline}, il potere della commissione [di ricusare la lista]{.underline}”.***