TRASFERIMENTO E CESSIONE D'AZIENDA

Nel 1942, con la promulgazione del codice civile, all'art. 2112 c.c. si prevedeva che in caso di vendita di un'azienda ai lavoratori si poteva dare la “disdetta”.

Questa norma, in realtà, incarnava ed incarna tutt'ora il desiderio profondo dell'imprenditoria nazionale nonché il punto di equilibrio delle forze politiche che la sostengono.

La Comunità Europea il giorno di San Valentino del 1977 promulgava la Direttiva 187 con cui affermava che in caso di cessione d'azienda o di suo ramo, il rapporto di lavoro deve passare dal venditore all'acquirente, sempre salva —si intende— la libertà dell'acquirente di licenziare se ne ricorrono i motivi.

Insomma una previsione di puro buon senso ma talmente perturbante per la sindrome italiana che l'inconscio politico giuridico del paese la rimuoveva nella speranza che, ignorandola, scomparisse da sola. Ma ecco che 9 anni dopo, il 10 luglio 1986, la Corte di Giustizia condannava l'Italia per mancata attuazione della Direttiva. Beh e a questo punto cosa ha fatto l'Italia? Nulla per ben altri quattro anni, e cioè sino al 29 dicembre 1990 quando, schiacciata dal rischio della procedura di infrazione, capitolava riformulando con la Legge 428 l'art. 2112 c.c. ed affermando finalmente che in caso di cessione d'azienda il rapporto dei lavoratori prosegue con l'acquirente. Ma attenzione, si trattava solo di una ritirata strategica. E infatti i nostalgici della “disdetta” si acquartieravano sul fronte dell'azienda in crisi (che non hanno più mollato) aggiungendo all'art. 47 il co. 4-bis, con la previsione per cui in caso di vendita di un'azienda in stato di crisi (senza distinguere tra la più lieve e cioè quella accertata in sede ministeriale per la concessione della cassa integrazione sino alla più definitiva quale il fallimento) se è “*stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell\'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l\'acquirente non trova applicazione l\'articolo 2112 del codice civile*”.

La questione ovviamente tornava subito alla Corte di Giustizia che si pronunciava con svariate sentenze, tutte dello stesso tenore. La prima era la sentenza D'Urso (del 25 luglio 1991, Causa C-362/89), e si occupava proprio di un'azienda ceduta da una società in amministrazione straordinaria che continuava l'attività, esattamente come l'Alitalia oggi. E cosa dice la Corte in tale sentenza del 1991? Dice che la procedura di amministrazione straordinaria non implica necessariamente variazioni sul piano dell'occupazione e quindi permane il diritto del lavoratore a passare automaticamente alle dipendenze dell'acquirente fin quando (leggo testualmente) c'è “*il proseguimento dell\'attività dell\'impresa*” [^88]

L'Italia non si adegua. Tanto che la Commissione decideva che, se alcuni paesi membri proprio non volevano capire ciò che dice la giurisprudenza della Corte di Giustizia, era opportuno un suo intervento. Ed emanava la Direttiva n. 23 del 2001 affermando al punto 7 della premessa che \“*detta direttiva è stata …. modificata alla luce … della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee*\”, in quanto “*la sicurezza e la trasparenza giuridiche hanno richiesto un chiarimento*”. Insomma hanno preso le sentenze e le hanno riportate al nuovo articolo 5 della Direttiva, che ribadisce come:

- o la società che vende l'azienda è in una “bankruptcy proceeding” è cioè in una procedura riservata alle società fallite, chiuse, morte, in bancarotta, allora chi compra può non assumere gli ex dipendenti di chi vende;

- oppure, se invece è un'attività che si trova in una “insolvency proceeding” ovverosia in una procedura aperta per una crisi più lieve che consente —pur sotto il controllo dell'autorità amministrativa o giudiziaria— di proseguire l'attività, allora si può, con l'accordo sindacale, modificare in peggio le condizioni di lavoro ma permane comunque il diritto dei lavoratori di proseguire l'attività alle dipendenze di chi acquista.

L'Italia si sarà adeguata, si sarà portati a pensare. E invece no. L'Italia continua a non fare nulla, tanto che la Commissione nuovamente, con lettera del 23 marzo 2007, invitava la Repubblica italiana ad ottemperare alla direttiva 2001/23 e ad adeguare il proprio diritto interno nel senso che nei casi di mera “insolvency”, come certamente è l'amministrazione straordinaria in continuità, fosse riconosciuto il diritto di tutti i lavoratori all'applicazione dell'art. 2112 c.c. con prosecuzione del rapporto. Ebbene, questa volta l'Italia decide di attivarsi con decreto legge e farlo a un mese dalla prima cessione di Alitalia. E cosa dice questo decreto, forse che si applica l'art. 2112 c.c.? No: il Governo (allora presieduto dall'On. Silvio Berlusconi), con il decreto legge 185 del 29 novembre 2008 prevedeva che per le aziende in amministrazione straordinaria (cito testualmente) le operazioni di “*cessione dei complessi aziendali … non costituiscono comunque trasferimento di azienda \… agli effetti previsti dall'art. 2112 c.c*.”. E oplà, la Cai si sceglieva chi assumere lasciando gli altri nella bad company da cui 4 anni dopo venivano licenziati in blocco. Intanto la Commissione perdeva ovviamente la pazienza rivolgendosi nuovamente alla Corte di Giustizia che con la sentenza, n. 561/07 dell'11 giugno 2009 condannava l'Italia proprio perché non applicava l'art. 2112 c.c. ai casi di crisi più lieve. Ma questa volta la sentenza era direttamente contro il nostro paese e la inottemperanza avrebbe portato a sanzioni pesanti e quindi finalmente con la legge 20 novembre 2009, n. 166, “*al fine di dare attuazione alla sentenza di condanna emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee*”, si introduceva un comma 4-bis al predetto articolo 47 della L. 428/90: la distinzione tra i casi di bankruptcy, e cioè di morte dell'azienda, in cui non si applica l'art. 2112 c.c., (quali il fallimento, l'omologazione di concordato preventivo con cessione dei beni, o anche l'amministrazione straordinaria senza continuazione dell'attività). E precisando come invece per tutte le altre crisi più lievi, anche e soprattutto per “*l'amministrazione straordinaria …. in caso di continuazione … dell'attività … l'articolo 2112 del codice civile trova applicazione*”, aggiungendosi però poi: “nei *termini e con le limitazioni previste dall'accordo sindacale*”. Frasetta apparentemente innocua dato che —come detto— l'art. 5 della Direttiva 23 del 2001 prevedeva proprio che era possibile con accordo sindacale operare (testualmente) “*modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali*”. E però c'era un aspetto della sindrome italiana che avevamo sottovalutato, e cioè il gusto (oltre che per i decreti legge ad Alitaliam emessi a un mese dalla cessione) anche per lo sfottò, per il gioco di parole irridente insomma. Ed allora in occasione della seconda cessione da Cai ad Etihad, succedeva che compratore ed alienante facevano finta che con rinvio fatto dalla legge all\'“accordo sindacale” con cui si dovevano applicare l'art.2112 e la Direttiva Europea, si poteva in realtà fare tutto, anche disapplicare l'art. 2112 e la Direttiva europea. E con accordo sindacale redigevano una lista di coloro che proseguivano e scartavano gli altri che venivano licenziati, come nella prima cessione. Ma questa volta non occorreva neanche andare a Bruxelles, era sufficiente andare a piazza Cavour, incaricandosi la Cassazione di precisare con molte sentenze del 2020 che “in *caso di trasferimento che riguardi aziende … per le quali sia stata disposta l\'amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell\'attività … l\'accordo sindacale … può prevedere deroghe all\'art. 2112 c.c. concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei rapporti di lavoro al cessionario*”.

Finalmente dopo 43 anni si allineavano tutti i pianeti: legislazione comunitaria, giurisprudenza comunitaria, legislazione nazionale, giurisprudenza nazionale! Tutti d'accordo a dire che quando c'è una società in amministrazione straordinaria con continuazione si applica l'art. 2112 per quanto attiene al diritto di tutto il personale di proseguire il rapporto. E quindi, ingenuamente, pensavamo che nella terza cessione Alitalia almeno questo problema, dopo due direttive, due sentenze di condanna della Corte di Giustizia (e svariate altre interpretative), una novella di adeguamento alla legislazione comunitaria e alcune decine di pronunce della Cassazione, era smarcato. Ma avevamo nuovamente sottovalutato la sindrome italiana e i nostalgici della disdetta del 1942. E infatti, nel verbale di accordo non firmato da tutte le organizzazioni sindacali, alla lettera B si “*esclude l'applicazione dell'art. 2112 c.*c.”. Ancora? Sì, ancora. E come è possibile? Lo è grazie al gusto tutto italiano per Decreti legge ad Alitaliam ad un mese dalla cessione e per i giochi di parole irridenti. Ed ecco infatti che nel corso della trattativa con i sindacati, ad un mese dall'avvio dell'attività di Ita, giungeva puntuale il Decreto legge, in particolare il cd. Decreto infrastrutture del 2 settembre 2021, che all'art. 7 procede con il solito gioco di parole e cioè dice che quello che Ita comprerà e Alitalia venderà non si chiama più “azienda” ma si chiama da ora in poi “singoli beni” ancorché organizzati tra loro e acquisiti dallo stesso venditore nello stesso momento. E così è possibile il miracolo: fino al Decreto ciò che veniva venduto era un'azienda e si doveva applicare l'art.2112 c.c., dopo il 2 settembre ciò che viene venduto (che è ovviamente sempre lo stesso compendio) si chiama pluralità di “singoli beni” e così si può disapplicare ancora una volta il diritto alla prosecuzione del rapporto. C'è anche una sola possibilità che questo sia conforme al diritto nazionale e comunitario? La risposta viene da sola, la Corte di Giustizia ha già chiarito la distinzione tra singoli beni e azienda proprio nel trasporto aereo con la Sentenza Ferreira da Silva del 9 settembre 2015 (in Causa C-160/14). In quel caso c'era “*un'impresa attiva nel mercato dei voli charter*” che è stata “liquidata” e un'altra compagnia aerea (e cioè la portoghese Tap) che ha provveduto a “*riassume(re) i contratti di locazione di aerei e i contratti di voli charter in vigore, svolge(re) l'attività precedentemente svolta dalla società liquidata, riassume(re) alcuni dipendenti fino a quel momento operanti per tale società e riprende(re) piccole apparecchiature di detta società*”.

Ebbene la CGE ha detto che non sono singoli beni ma è un'azienda, in quanto ciò che conta non è “*il mantenimento … della struttura organizzativa specifica imposta (precedentemente) … ai diversi fattori di produzione trasferiti, bensì del nesso funzionale di interdipendenza e complementarità fra tali fattori a costituire l'elemento rilevante per determinare la conservazione dell'identità dell'entità trasferita*”. Insomma in quel caso non è stato direttamente acquistato neppure un aereo (ma solo i contratti di leasing), non sono passati gli slot, non è passato il brand, ed il tutto è stato integrato in una compagnia già esistete ed assai più grande senza la quale il servizio non sarebbe stato reso; cionnondimeno, la Corte di Giustizia Europea ha rinvenuto la “continuità”.

In questo contesto la prima vera discontinuità che si chiedeva al Governo ed ai vertici di Ita, e che ad oggi è stata drammaticamente fallita, era di farla finita con la propensione italiana al trucchetto, all'elusione, alle leggi ad personam, alle scorciatoie, alla cultura dell'oggi facciamo così poi si vedrà tanto sarà qualcun altro a gestire il fallimento, e con lo scaricamento sulla magistratura di tutto il peso del rispetto delle normative nazionali e comunitarie. Anche se non si vuole dire (per motivi cabalistici) il numero 2112 è possibile attuare nei fatti l'art. 5 della direttiva europea 2001/23 con un buon accordo sindacale che preveda una ragionevole tempistica di assorbimento scaglionato del personale che nell'attesa del passaggio dovrà godere di adeguati ammortizzatori, e che preveda condizioni economiche e normative che consentano ad Ita un avvio più lieve per poi tornare progressivamente a regime in un tempo ragionevole. Questo consentirebbe una rinnovata alleanza tra lavoratori, cittadini e la loro ritrovata compagnia aerea nazionale, garantirebbe un avvio efficiente e con basso costo del lavoro, consentirebbe di evitare il disastro sociale e la disperazione di massa, blinderebbe giuridicamente l'avvio evitando migliaia di cause, e segnerebbe un possibile nuovo inizio di cui questo paese ha disperatamente bisogno.