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20._carcere

CARCERE

Premessa


L'analisi delle condizioni di vita nelle carceri italiane e del rapporto intercorrente tra custodia cautelare e pena rappresenta la cartina di tornasole di un sistema penale sempre più inosservante il principio di uguaglianza e quello della funzione rieducativa della pena, che appare, negli ultimi anni, sempre più connotarsi per essere inutilmente afflittiva. È ormai noto che l'attuale condizione degli istituti di pena nazionali contraddice radicalmente l'intento delineato dalla Costituzione. Si è, infatti, in presenza di un sistema che ha decisamente spostato l'asse dalla prevenzione alla penalizzazione, tanto è che, da più parti, si parla di funzione pan-carceraria della pena.

Il carcere si configura sempre di più come contenitore del conflitto, come discarica sociale e strumento atto a confinare donne e uomini delle classi sociali meno abbienti, in quanto tali, ritenute pericolose. Circa l'80 per cento della popolazione carceraria è, infatti, costituita dalla cosiddetta detenzione sociale, ovvero da persone che vivono uno stato di svantaggio, disagio o marginalità (immigrati, tossicodipendenti, emarginati) per le quali, più che una risposta penale o carceraria, sarebbero opportune politiche di prevenzione e sociali appropriate.

Le cause principali di tale situazione discendono, in sintesi, da due fattori che si snodano lungo due differenti direttrici.

Il primo è quello normativo, laddove alcune novelle legislative adottate in ambito penale hanno cominciato a dare frutti a pieno regime, in particolare, la c.d. Bossi–Fini, in materia di immigrazione (particolarmente dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 94/2009), la Fini–Giovanardi (L. n. 49/2006) in materia di contrasto al traffico di stupefacenti e la c.d. ex Cirielli (L. n. 251/2005) che inasprisce sensibilmente le sanzioni penali e rende più difficile l'accesso ai benefici penitenziari per i recidivi, che costituiscono la grande maggioranza dei detenuti nelle carceri, detenzioni, queste ultime, molto spesso legate alla piccola e piccolissima criminalità, di cui la recidiva è fattore caratterizzante.

Il secondo fattore è quello culturale, che vede competere alcune forze politiche nel chi grida più forte alla sicurezza pubblica ed alla tolleranza zero. Si è, in definitiva, smarrito il senso del risolvere i problemi dei cittadini con strumenti diversi da quello carcerario. Se questo è il messaggio che viene dalla politica è evidente la ricaduta che ciò può avere sull'operato delle forze di polizia e della magistratura. Con ciò si spiega anche il dato relativo al numero di soggetti sottoposti alla misura cautelare massima.

D'altronde è evidente che il tema della sicurezza rappresenta un *leitmotiv* utilizzato da una parte della politica nazionale e locale quotidianamente ed ossessivamente, attraverso la costruzione dell'ideologia della paura dell'altro e del diverso, che si traduce in scelte politiche che, ispirate da pure ragioni demagogiche e di consenso, prendono a pretesto un supposto bisogno di sicurezza dei cittadini, artificialmente creato ed amplificato dagli organi di stampa, per introdurre nel nostro ordinamento norme palesemente antidemocratiche – così determinandone un arretramento intollerabile del livello di civiltà – rivelatrici di un atteggiamento discriminatorio, selettivamente orientato a colpire soprattutto i migranti e le persone che versano in situazioni sociali ed economiche disagiate.

In questo contesto, si segnala negativamente l'abbandono definitivo dei principali progetti di riforma del codice penale, per inseguire rimaneggiamenti legislativi settoriali tutti orientati all'inasprimento delle pene ed alla creazione di nuove fattispecie di reato, così mandando in soffitta ogni tendenza, da un trentennio, in più occasioni, caldeggiata da magistratura ed avvocatura, volta alla creazione di un diritto penale «minimo», volto ad individuare proposte tese alla decarcerizzazione, alla introduzione di sanzioni sostitutive, alla elaborazione di progetti di mediazione penale, alla instaurazione di prassi avanzate all'interno delle carceri.

Gli istituti di pena nazionali sono così pervenuti ad una situazione non più sostenibile.

I Giuristi democratici intendono mantenere l'orizzonte di una riforma sostanziale del codice penale che promuova una drastica riduzione dei reati e delle pene e la riconduzione del carcere ad *extrema ratio* attraverso la tutela del principio della riserva di codice, la concessione più equilibrata e diffusa del beneficio della pena sospesa. La previsione di misure extrapenali e la riduzione dei minimi e dei massimi edittali possono rappresentare soluzioni ben migliori se affiancate alla disponibilità a rivedere normative altamente criminogene.

Una politica criminale lungimirante dovrebbe guardare alle cause del sovraffollamento ed intervenire sulle disposizioni che creano un incremento dei detenuti, senza, peraltro, far accrescere la sicurezza pubblica. La riforma del codice penale rappresenta, in questo quadro, la strada maestra per eliminare la centralità della pena detentiva, per introdurre pene alternative e sostitutive alla detenzione e valorizzare l'utilizzo delle misure alternative, in una prospettiva di lungo periodo in cui si pervenga alla definitiva abolizione dell'istituto carcerario.

È, in definitiva, indispensabile cambiare approccio, abrogare le leggi che hanno, di fatto, creato criminalizzazione e carcerazione crescenti, per delineare il ritorno ad una nuova stagione del «diritto penale minimo», capace di comprendere e incidere sulle effettive ragioni sociali della devianza e del crimine.

Proposte


In disparte dalle più articolate proposte di riforma della intera materia, a titolo di urgenza, i Giuristi Democratici hanno sottoscritto alcune proposte minime di riduzione del danno da sovraffollamento carcerario, sia per i detenuti che per le loro famiglie, indirizzate ai Provveditorati dell'Amministrazione penitenziaria, ai direttori delle carceri, ai magistrati di Sorveglianza.

In via preliminare, in termini generali, ove non sia rispettato lo spazio che per legge deve essere garantito ad ogni detenuto ridotto dietro le sbarre, [devono]{.underline} essere concesse le misure alternative al carcere. Non è infatti consentito che, a quella restrittiva della libertà personale, sia illecitamente aggiunta la pena delle sofferenze provocate dal vivere in un ambiente molto ristretto, con spazio insufficiente.

A ciò si aggiungono le proposte elaborate dalla redazione di Ristretti Orizzonti e dall'associazione Antigone Padova, molto semplici (attuabili da subito e a costo zero) già in parte presenti nella lettera circolare del 24/04/2010 (Nuovi interventi per ridurre il disagio derivante dalla condizione di privazione della libertà e per prevenire i fenomeni auto aggressivi) e in quella del 7/7/2010 (Ulteriori iniziative per fronteggiare il sovraffollamento), che non dovrebbero però costituire un “invito alle Direzioni” a metterle in pratica, ma essere recepite come misure fondamentali per riportare un minimo di legalità nelle carceri.

Chiediamo quindi che le indicazioni presenti nelle circolari diventino disposizioni vincolanti per le Direzioni e non suggerimenti da attuare a discrezione. • Apertura 24 ore su 24 dei blindi per favorire la ventilazione e il ricambio di aria nelle celle sovraffollate; • apertura delle celle nel corso di tutta la giornata con libero accesso alle docce; • utilizzo più ampio possibile dell'area verde per i colloqui; • concessione dell'aria estiva: un'ora aggiuntiva di passeggi dalle 17:00 alle 18:00; • aumento delle ore di attività sportive (campo e palestra) e predisposizione di attrezzi nelle aree dei passeggi per permettere alle persone, compresse per ore nelle celle in spazi ridottissimi, di fare almeno un minimo di esercizio fisico; • utilizzo di tutti gli spazi comuni nelle sezioni per attività che coinvolgano i detenuti, che non lavorano e non sono impegnati in nessuna attività; • accesso del volontariato nelle carceri almeno fino alle 18; • autorizzazione all'acquisto di frigoriferi per conservare i generi alimentari acquistati o portati dalle famiglie, da installare all'interno delle celle (come già avviene nella Casa di reclusione di Padova e nella Casa circondariale di Trieste); Piccole proposte per non distruggere anche le famiglie, oltre che le persone detenute: • in considerazione del sovraffollamento in strutture, pensate e attrezzate per ospitare meno della metà dei detenuti presenti, per cercare di “salvare” almeno le famiglie sarebbe opportuno portare a otto le ore mensili previste per i colloqui; • dovrebbero essere migliorati i locali adibiti ai colloqui, e in particolare all'attesa dei colloqui, anche venendo incontro alle esigenze che possono avere i famigliari anziani o i bambini piccoli, oggi costretti spesso a restare ore in attesa senza un riparo (servirebbero strutture provviste di servizi igienici); • sarebbe importante predisporre nelle sale colloqui ventilatori o condizionatori in numero sufficiente per rendere sopportabile alle famiglie, e soprattutto ai bambini, la permanenza in tali aree; • dovrebbero essere concessi con maggior rapidità i colloqui con le terze persone; • dovrebbero essere concesse a tutti i detenuti due telefonate supplementari, in considerazione delle condizioni disumane in cui stanno vivendo: E forse telefonare più liberamente ai propri cari, mantenere contatti più stretti quando si sta male e si sente il bisogno del calore della famiglia, ma anche quando a star male è un famigliare, potrebbe davvero costituire una forma di prevenzione dei suicidi; • dovrebbero essere rese più chiare le regole che riguardano il rapporto dei famigliari con la persona detenuta, uniformando per esempio le liste di quello che è consentito spedire o consegnare a colloquio, che dovrebbero essere più ampie possibile.

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