SECONDE GENERAZIONI
Quando parliamo di seconde generazioni, intendiamo generalmente i figli dei primi migranti nati nel paese in cui i genitori sono emigrati, anche se con questo termine vengono inclusi anche i figli degli immigrati che sono arrivati nel periodo dell'adolescenza o durante la prima infanzia tramite ricongiungimento familiare. Una tipologia ormai classica è quella proposta dal sociologo Rubén Rumbaut (1997), che distingue i figli dei migranti a seconda della data di arrivo nel paese di immigrazione dei genitori. Egli definisce le seconde generazioni nate nel paese in cui attualmente vivono attraverso una distinzione così ripartita
- Generazione 1.75: popolazione che emigra in età prescolare ( 0-5
anni) e svolge l'intera carriera scolastica nel paese di destinazione
- Generazione 1.50: è la generazione che ha cominciato il processo di
socializzazione e la formazione primaria nel paese di origine ma ha completato l'educazione scolastica all'estero
- Generazione 1.25 soggetti che emigrano dal paese di origine tra i 13
e i 17 anni
L'Italia che può definirsi un paese di recente immigrazione assiste nell'ultimo decennio alla formazione delle seconde generazioni in cui appare prevalente la posizione occupata dalla componente minorile. Secondo i dati forniti dal MIUR “nell'anno scolastico 2016/2017 gli studenti e le studentesse di origine migratoria presenti nelle scuole italiane sono circa 826mila con un aumento di oltre 11mila unità rispetto all'A.S. 2015/2016 (+1,38%). L'aumento è di entità leggermente superiore per i maschi (+5.994; +1.41%) rispetto alle femmine (+5.246; 1,34%) che nel complesso rappresentano il 48% degli studenti con cittadinanza non italiana” ( Fonte Dossier MIUR 2018).
Per quanto riguarda la scuola dell'infanzia, i bambini nell'età compresa tra i 3 e i 5 anni con cittadinanza non italiana residenti in Italia presenti nelle scuole, rappresentano il 77% dei bambini con cittadinanza non italiana residenti in Italia. La scuola primaria, che sembra assorbire il maggior numero di studenti con cittadinanza non italiana ha registrato nell'anno scolastico 2016/2017 l'aumento più̀ consistente di studenti, pari a circa 4.800 unità (+1,63%). Nella scuola secondaria di I grado, l'incremento degli studenti con cittadinanza non italiana è pari a circa 3.900 unità dopo un triennio di costante diminuzione e nella scuola secondaria di II grado gli studenti con cittadinanza non italiana presenti sono circa 192.000 unità, con un aumento del 2,21% (+4.138 unità) rispetto all'anno precedente.
Interessante a tal proposito è la distribuzione delle seconde generazioni che si rivela non uniforme nel territorio italiano e si evidenzia una concentrazione maggiore nell'area del centro-nord, dove il fenomeno migratorio ha assunto una dimensione di stabilità. Secondo un rapporto della Camera dei deputati del 5 luglio 2018 “La regione in cui gli studenti con cittadinanza non italiana incidono di più nel contesto scolastico locale è l\'Emilia Romagna, dove quasi il 16% degli studenti non ha la cittadinanza italiana. Seguono Lombardia (14,7%), Umbria (13,8%) Toscana (13,1%), Veneto e Piemonte (13,0%), Liguria (12,3%) e viceversa, la Campania è la regione in cui l\'incidenza degli studenti con cittadinanza non italiana è la più bassa a livello nazionale (2,4%) ”. ( fonte rapporto Camera dei Deputati L\'integrazione scolastica dei minori stranieri , 5 luglio 2018).
Un altro campo che richiede un'analisi approfondita è quello concernente il mondo del lavoro. Nell'ultimo decennio è emerso con chiarezza che l'integrazione socio-economica delle seconde generazioni fosse tutt'altro che un processo lineare e privo di ostacoli come ipotizzato dai primi approcci teorici assimilazionisti. L'approccio assimilazionista sosteneva che il processo di inserimento delle seconde generazioni a differenza dei primi-migranti fosse un processo “automatico” e lineare in virtù dell'acquisizione delle competenze linguistiche e della socializzazione ai valori e ai modelli comportamentali della società̀ ricevente. In realtà, per l'inserimento nel mercato del lavoro sono emersi orientamenti distinti che ci possono far comprendere al meglio questa complessità.
Un primo orientamento, che sembrerebbe a oggi prevalere per alcune specifiche nazionalità, può definirsi *tradizionalista, nel quale ci* si pone di proseguire la carriera lavorativa iniziata e sviluppata dai genitori una volta arrivati nel paese di destinazione. Un orientamento scelto dalle seconde generazioni che intendono continuare la tradizione lavorativa familiare realizzata dai propri genitori sfruttando il capitale economico, sociale e culturale familiare e le risorse derivanti dal network etnico di riferimento nel paese di residenza.
Un secondo orientamento nell'inserimento al mercato del lavoro è di tipo *individualista* in cui le seconde generazioni scelgono un percorso formativo e di carriera lavorativa che si discosta dalle scelte familiari e sentono il forte peso delle aspettative lavorative che i genitori si auspicano per i loro figli ovvero di intraprendere ambiziose carriere lavorative, quasi rappresentassero un riscatto sociale della loro condizione economica e sociale. È molto ricorrente in questi casi che i genitori occupano i posti meno prestigiosi e remunerati nella gerarchia occupazionale, e che spesso abbiano vissuto un percorso difficoltoso nel processo di inserimento nella società italiana. Spesso questi giovani sentono non solo di non potere soddisfare tali aspettative, ma anche di non volerle soddisfare perché́ le loro ambizioni sono differenti da quelle familiari in quanto cresciuti e socializzati in un altro contesto socio-culturale. Si tratta di seconde generazioni che intraprendono in opposizione ai genitori un percorso formativo diverso come ad esempio chi sceglie di continuare a studiare raggiungendo alti livelli di istruzione - laurea e dottorato di ricerca - che lasciano presupporre opportunità lavorative più elevate rispetto a quelle dei genitori.
Un terzo orientamento nell'inserimento al mercato del lavoro è quello *transnazionalista.* Si tratta di seconde generazioni di migranti che sfruttano il proprio capitale culturale che si differenzia dalla popolazione locale e, utilizzando le reti transnazionali, riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro sia nella società in cui risiedono sia in quella da cui sono emigrati i propri genitori..
Un ultimo orientamento nell'inserimento al mercato del lavoro italiano è quello con tendenza *all'isolamento con downward assimilation*. Si tratta di seconde generazioni di migranti con un minore capitale economico, sociale e culturale derivante dal background familiare. Generalmente provengono da istituti professionali o tecnici oppure non sono riusciti a conseguire il diploma delle superiori. Il rischio è, tuttavia, di rimanere intrappolati in lavori precari, mal pagati con poche o nulle prospettive di carriera (*bad jobs).* L'inserimento lavorativo diventa oltremodo difficoltoso per coloro che non possiedono ancora la cittadinanza italiana ma solo il permesso di soggiorno.
In questo quadro una delle maggiori barriere nell'inserimento del mercato del lavoro italiano risiede nella difficoltà di ottenere la cittadinanza italiana che, com'è noto, richiede procedure burocratiche molto lunghe ed estenuanti per chi non è nato in Italia. Va però aggiunto che anche le seconde generazioni nate in Italia (2G) ottengono con molta difficoltà la cittadinanza italiana visto che vale il principio dello *ius sanguinis* e non lo *ius soli,* e sempre che dimostrino di avere risieduto continuità sul territorio nazionale. Pertanto, le seconde generazioni che, sono in possesso del permesso soggiorno, risultano fortemente penalizzate sia nel momento dell'assunzione sia nella progressione di carriera.