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33._i_appendice_giurisprudenza_antifascismo

I Appendice giurisprudenza antifascismo

Allegato n. 1


Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-03-2019) 16-05-2019, n. 21409

l\'imputato L.G., in occasione della seduta pubblica della Commissione congiunta del Consiglio comunale di Milano su sicurezza e coesione sociale, polizia locale, protezione civile e volontariato, politiche sociali e servizi per la salute, avente a oggetto il cosiddetto \“(OMISSIS)\” rom e svoltasi l\'(OMISSIS), eseguiva il \“saluto fascista\”, anche noto come \“saluto romano\”

Osserva il Collegio che risultano immuni da vizi logici o giuridici le argomentazioni sviluppate dalla Corte di appello di Milano, secondo cui il \“saluto fascista\” o \“saluto romano\” costituisce una manifestazione gestuale che rimanda all\'ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dal D.L. n. 122 del 1993, art.2, evidenziando che la fattispecie contestata a L. non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, che è quella propria dei reati di pericolo astratto (Sez. 1, n. 11038 del 02/03/2016, Goglio, Rv. 269753; Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009, Saccardi, Rv. 243792).

Non può, in proposito, non richiamarsi la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui il \“saluto fascista\” accompagnato dalla parola \“presente\” integra la fattispecie del D.L. n. 122 del 1993,art.2, per la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, che appare pregiudizievole dell\'ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi. Sul punto, è sufficiente richiamare il principio di diritto, secondo cui: \“Il cosiddetto \”saluto romano\“ o \”saluto fascista\“ è una manifestazione esteriore propria o usuale di organizzazioni o gruppi indicati nel D.L. 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, nella L. 25 giugno 1993, n. 205 (misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa) e inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull\'odio razziale o etnico; ne consegue che il relativo gesto integra il reato previsto dall\'art. 2 del citato decreto-legge\” (Sez. 1, n. 25184 del 04/03/2009, Saccardi, Rv. 243792; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 37390 del 10/07/2007, Sposato, Rv. 237311).

In questa cornice, deve rilevarsi che la natura di reato di pericolo astratto della fattispecie delD.L. n. 122 del 1993,art.2 impone, per la sua configurazione, che sia accertata l\'idoneità della condotta a offendere il bene giuridico, contestualizzando il comportamento dell\'agente attraverso un giudizio ex ante. Tale contestualizzazione presuppone un accertamento finalizzato a verificare se la condotta dell\'imputato è astrattamente idonea a essere percepita come manifestazione esteriore o come ostentazione simbolica ed emblematica \“delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui alla L. 13 ottobre 1975, n. 654, art.3(\…)\”.

Sulla legittimità costituzionale dei reati di pericolo astratto, del resto, la Corte costituzionale si è ripetutamente pronunciata (Corte Cost., sent. n. 225 del 2008; Corte Cost., sent. n. 286 del 1974), ribadendo la loro compatibilità con le norme costituzionali, a condizione che nelle fattispecie di volta in volta considerate siano rinvenibili elementi che consentano di ritenere dotate di attitudine offensiva le condotte illecite. Occorre, pertanto, verificare se il fatto concreto possieda tali connotazioni di offensività, certamente riscontrabili nel caso di specie, tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizzava il comportamento criminoso di L., correttamente valutate dai Giudici di merito secondo una prospettiva ex ante.

Allegato n. 2


Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

Sezione II

Sentenza 18 aprile 2019, n. 447

Presidente: Testori - Estensore: Limongelli

FATTO

1\. Con deliberazione n. 125 del 30 novembre 2017, il consiglio comunale di Rivoli, preso atto del ripetersi sempre più frequente di \“manifestazioni promosse da organizzazioni neofasciste, portatrici di idee e di valori che si collocano al di fuori del perimetro costituzionale\”, impegnava l\'amministrazione \“a non concedere spazi o suolo pubblici a coloro i quali non garantiscano di rispettare i valori sanciti dalla Costituzione, professando e/o praticando comportamenti fascisti, razzisti e omofobi\”, dando mandato di adeguare i regolamenti comunali a quanto espresso nell\'atto di indirizzo, in particolare \“subordinando la concessione di suolo pubblico, spazi e sale di proprietà del Comune, a dichiarazione esplicita di rispetto dei valori antifascisti sanciti dall\'ordinamento repubblicano\”.

2\. Con successiva deliberazione n. 164 del 15 maggio 2018, la giunta comunale di Rivoli dava mandato ai competenti uffici comunali di richiedere, a fronte di istanze di concessione del suolo pubblico o di utilizzo di spazi e sale di proprietà comunale, la presentazione da parte dei richiedenti di una dichiarazione espressa, redatta ai sensi e per gli effetti degli artt. 46 e 47 del d.P.R. 445/2000, del seguente testuale tenore:

\“Il sottoscritto (\…) dichiara (\…):

\- \”di ripudiare il fascismo e il nazismo;

\- di aderire ai valori dell\'antifascismo posti alla base della Costituzione repubblicana, ovvero i valori di libertà, di democrazia, di eguaglianza, di pace, di giustizia sociale e di rispetto di ogni diritto umano, affermatisi nel nostro Paese dopo una ventennale opposizione democratica alla dittatura fascista e dopo i 20 mesi della Lotta di Liberazione dal nazifascismo; (\…)\“.

3\. Con istanza dell\'8 ottobre 2018, la signora Sara Novello, agendo \”in nome e per conto di Casapound Italia\“, chiedeva al Comune di Rivoli l\'autorizzazione ad occupare il suolo pubblico con un gazebo di mt 2×2 in via Fratelli Piol per tredici giorni non consecutivi, festivi e prefestivi, compresi tra il 1° dicembre 2018 e il 27 aprile 2019, al fine dichiarato di svolgere \”propaganda politica e di promozione delle attività politiche e del pensiero politico della sig.ra Sara Novello\“.

4\. Alla propria istanza, la richiedente allegava la seguente dichiarazione: \”La sottoscritta (\…) dichiara di riconoscersi nei valori della Costituzione, di non voler ricostituire il disciolto Partito Fascista, di non voler effettuare propaganda razzista o comunque incitante all\'odio\“, nonché \”di impegnarsi a rispettare tutte le leggi ed i regolamenti del nostro ordinamento giuridico\“.

5\. Con atto del 22 novembre 2018, gli uffici comunicavano alla richiedente che l\'iter autorizzativo dell\'istanza era stato \”sospeso\“ dal momento che all\'istanza era stata allegata una dichiarazione difforme dal modello-tipo approvato dall\'amministrazione con le predette deliberazioni, invitando l\'interessata a regolarizzare la dichiarazione e precisando che l\'autorizzazione sarebbe stata rilasciata non appena fosse stata trasmessa la dichiarazione in questione.

6\. La ricorrente presentava proprie osservazioni, contestando la legittimità della richiesta dell\'Amministrazione e rifiutando di rendere la dichiarazione nei termini pretesi dall\'amministrazione.

7\. Alla luce di quanto sopra, con provvedimento notificato il 23 gennaio 2019 l\'amministrazione dichiarava l\'istanza \”improcedibile\“, non essendo stato prodotto il documento richiesto.

8\. Con ricorso notificato il 15 marzo 2019 e depositato il 20 marzo successivo, l\'interessata impugnava dinanzi a questo TAR il suddetto provvedimento di \”improcedibilità\“, unitamente alle presupposte delibere del consiglio comunale n. 125/2017 e della giunta comunale n. 164/2018, e ne chiedeva l\'annullamento, previa sospensione cautelare, sulla base di cinque motivi, con i quali deduceva vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili.

9\. Il Comune di Rivoli si costituiva in giudizio con articolata memoria difensiva, eccependo preliminarmente l\'inammissibilità del ricorso in ragione della tardiva impugnazione degli atti presupposti, divenuti ormai inoppugnabili, e in subordine, nel merito, contestando il fondamento del ricorso e chiedendone il rigetto.

10\. All\'udienza in camera di consiglio del 10 aprile 2019, dopo la discussione dei difensori delle parti, il collegio si riservava di definire il giudizio con sentenza in forma semplificata, sussistendone i presupposti di legge e sentite, sul punto, le parti costituite.

DIRITTO

Si può prescindere dall\'esame dell\'eccezione preliminare formulata dalla difesa comunale, dal momento che il ricorso è manifestamente infondato nel merito.

1\. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto l\'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 2, 3, 17, 18 e 21 della Costituzione in materia di tutela dei diritti fondamentali, di eguaglianza, diritto di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero e di associazione in partiti politici; tali principi, secondo la ricorrente, non consentirebbero di subordinare l\'esercizio dei diritti civili e politici a dichiarazioni di adesione ai valori dell\'antifascismo, ai valori repubblicani e a quelli della Resistenza; la libera manifestazione del pensiero e il \”foro interno\“ di ciascun cittadino non possono essere coartati attraverso l\'obbligo di adesione a valori predeterminati, secondo modelli tipici dei regimi totalitari; all\'atto della domanda di concessione del suolo pubblico, la ricorrente ha dichiarato di aderire ai valori della Costituzione italiana e di non avere intenzione di ricostituire il disciolto Partito Fascista, e tanto deve essere ritenuto sufficiente; secondo la ricorrente, l\'amministrazione non potrebbe imporre ai cittadini di aderire a non meglio identificati \”valori dell\'antifascismo\“ che non sono richiamati in alcuna parte del testo costituzionale, né a \”ripudiare il fascismo e il nazismo\“, atteso che il ripudio attinge alla sfera interna dell\'individuo, che non può essere coartata dall\'amministrazione in assenza di comportamenti e manifestazioni esteriori che si pongano in contrasto con le norme costituzionali e con le leggi dello Stato.

La censura è infondata.

1.1. I valori dell\'antifascismo e della Resistenza e il ripudio dell\'ideologia autoritaria propria del ventennio fascista sono valori fondanti la Costituzione repubblicana del 1948, non solo perché sottesi implicitamente all\'affermazione del carattere democratico della Repubblica italiana e alla proclamazione solenne dei diritti e delle libertà fondamentali dell\'individuo, ma anche perché affermati esplicitamente sia nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, sia nell\'art. 1 della legge \”Scelba\“ n. 645 del 20 giugno 1952, che, nel dare attuazione alla predetta norma costituzionale, ha individuato come manifestazioni esteriori di ricostituzione del partito fascista il perseguire finalità antidemocratiche proprie del partito fascista attraverso, tra l\'altro, la minaccia o l\'uso della violenza quale metodo di lotta politica, il propugnare la soppressione delle libertà costituzionali, lo svolgere propaganda razzista, l\'esaltare principi, fatti e metodi propri del predetto partito, il compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e il denigrare la democrazia, le sue istituzione o i \”valori della Resistenza\“; inoltre, l\'art. 5 della stessa legge Scelba n. 645/1952 punisce le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, quando siano compiute durante eventi pubblici.

1.2. I principi affermati nelle predette norme costituiscono un limite alla libertà di manifestazione del pensiero, di riunione e di associazione degli individui, le quali non possono esplicarsi in forme che denotino un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione del disciolto partito fascista.

1.3. Si tratta di principi che, per evidenti motivi, trovano precipua applicazione in materia di propaganda politica ed elettorale.

1.4. In tale contesto, allorquando si richieda di esercitare attività di propaganda politica ed elettorale in spazi pubblici, sottraendoli, sia pure temporaneamente, all\'uso pubblico per destinarli all\'utilizzo privato, non appare irragionevole che l\'amministrazione richieda, al fine di valutare la meritevolezza dell\'interesse dedotto, una dichiarazione di impegno al rispetto dei valori costituzionali e, in particolare, dei limiti costituzionali alla libera manifestazione del pensiero connessi al ripudio dell\'ideologia autoritaria fascista e all\'adesione ai valori fondanti l\'assetto democratico della Repubblica italiana, quali quelli dell\'antifascismo e della Resistenza; e ciò anche al fine dell\'eventuale revoca della concessione in caso di violazione dell\'impegno assunto. E benché, nel caso di specie, il modello di dichiarazione predisposto dall\'amministrazione comunale non appaia scevro da qualche ridondanza, non per questo è possibile rilevarne un profilo di illegittimità, tenuto conto anche della forte valenza simbolica, oltre che amministrativa, che l\'amministrazione ha inteso riconnettervi e che giustifica qualche eccesso di enfasi.

1.5. Nel caso di specie la ricorrente ha richiesto all\'amministrazione comunale, \”quale attivista e delegata\“ dell\'associazione \”Casapound Italia\“, la concessione del suolo pubblico nella via Fratelli Piol - peraltro, una via pubblica di forte valenza evocativa, perché intestata a martiri della Resistenza e dell\'antifascismo - per svolgere attività di propaganda politica; ma, alla richiesta dell\'amministrazione di rendere la dichiarazione di impegno predisposta dalla giunta comunale, ne ha resa una diversa, nella quale ha sì dichiarato \”di riconoscersi nei valori della Costituzione, di non voler ricostruire il disciolto Partito Fascista, di non voler effettuare propaganda razzista o comunque incitante all\'odio\“, nonché \”di impegnarsi a rispettare tutte le leggi ed i regolamenti del nostro ordinamento giuridico\“, ma ha omesso, volutamente, la parte di dichiarazione relativa al \”ripudio del fascismo e del nazismo\“ e all\'adesione \”ai valori dell\'antifascismo\“.

1.6. Dichiarare di aderire ai valori della Costituzione, ma nel contempo rifiutarsi di aderire ai valori che alla Costituzione hanno dato origine e che sono ad essa sottesi, implicitamente ed esplicitamente, significa vanificare il senso stesso dell\'adesione, svuotandola di contenuto e privandola di ogni valenza sostanziale e simbolica.

1.7. Non appare pertanto censurabile il comportamento del Comune che, a fronte dell\'assenza di un effettivo impegno della ricorrente al rispetto dei valori costituzionali dell\'antifascismo, ha ritenuto insussistenti i presupposti di interesse pubblico per la concessione di spazi pubblici per finalità private di propaganda politica.

La censura va quindi disattesa.

2\. Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere per sviamento; l\'amministrazione avrebbe utilizzato in materia sviata i propri poteri in materia di occupazione del suolo pubblico, i quali sarebbero previsti dalla legge per finalità prettamente fiscali e di tutela della viabilità e della sicurezza pubblica; l\'amministrazione avrebbe invece perseguito una finalità estranea al paradigma normativo, quella di estorcere ai cittadini dichiarazioni di adesione ideologica ad una \”carta di valori\“ predeterminata.

Anche tale censura è infondata.

2.1. La disciplina dell\'occupazione del suolo pubblico è demandata ai Comuni, sia in ordine alla individuazione dei presupposti che in ordine alla determinazione del canone. La legge, in particolare, non predetermina le finalità in vista delle quali può essere attribuito a privati l\'uso esclusivo del suolo pubblico, ma rimette ai Comuni il potere di regolamentarle e valutarle caso per caso, in funzione della meritevolezza dell\'interesse perseguito e della sua idoneità a giustificare la sottrazione temporanea del bene pubblico all\'utilizzo collettivo.

2.2. È stato affermato, al riguardo, che la concessione di suolo pubblico \”esige sempre e comunque una decisione ponderata in ordine al bilanciamento dell\'interesse pubblico con quelli privati eventualmente confliggenti, di cui dare conto nella motivazione, stante il loro carattere discrezionale, con la conseguenza che la P.A., prima di concederla, deve, attraverso apposita istruttoria, effettuare una accurata ricognizione degli interessi coinvolti\“ (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 25 luglio 2017, n. 8934).

2.3. Nel caso di specie, la concessione del suolo pubblico è stata richiesta dalla ricorrente al fine dichiarato di effettuazione di attività di propaganda politica. L\'amministrazione, nel richiedere, al fine di valutare l\'assentibilità dell\'istanza, una dichiarazione preventiva di adesione ai valori costituzionali dell\'antifascismo e di ripudio del fascismo e del nazismo, ha bilanciato correttamente l\'interesse privato della ricorrente a svolgere attività di propaganda politica con l\'interesse pubblico a che ciò avvenga nel doveroso e consapevole rispetto dei valori costituzionali.

3\. Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto l\'illegittimità degli atti impugnati per violazione del vigente regolamento comunale di Rivoli in materia di concessione di suolo pubblico; ha osservato la ricorrente che tale regolamento non è stato modificato a seguito degli atti impugnati, e, allo stato, non contiene alcuna norma che imponga la presentazione di una dichiarazione di adesione ai valori dell\'antifascismo per poter ottenere uno spazio pubblico.

Anche tale censura è infondata.

Il diniego impugnato è stato adottato in ossequio a quanto previsto dal consiglio comunale con la deliberazione n. 125 del 30 novembre 2017.

Il consiglio comunale è l\'organo competente ad approvare e modificare i regolamenti comunali.

Nel caso di specie, la delibera n. 125/2017 ha dettato un indirizzo di carattere generale ed astratto che, benché non inserito formalmente all\'interno del testo regolamentare, è tuttavia idoneo ad integrarlo ab externo, sia in ragione della sua natura sostanzialmente regolamentare sia in considerazione dell\'organo che l\'ha adottato.

4\. Con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 46 e 47 del d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000; tali norme, richiamate nella dichiarazione-tipo predisposta dalla giunta comunale, prevedono che le dichiarazioni sostitutive di certificazioni possano attestare unicamente \”stati e qualità\“, non opinioni politiche; l\'amministrazione avrebbe quindi imposto una autocertificazione di carattere ideologico contraria ad ogni legge.

La censura non ha fondamento.

4.1. Benché il modello di dichiarazione predisposto dall\'amministrazione richiami, in effetti, gli artt. 46 e 47 del d.P.R. 445/2000, la dichiarazione richiesta dall\'amministrazione non è una vera dichiarazione sostitutiva di certificazione, ma una dichiarazione di impegno del privato al rispetto dei principi costituzionali e dei valori ad essi sottesi, in funzione della valutazione di meritevolezza dell\'interesse perseguito dal richiedente attraverso l\'utilizzo del suolo pubblico.

4.2. Il richiamo alle norme citate è quindi improprio, ma giuridicamente inconferente.

5\. Infine, con il quinto motivo la ricorrente ha dedotto la violazione dell\'art. 48, comma 2, del d.P.R. 445/2000, il quale prevede che, ai fini della redazione di dichiarazioni sostitutive, gli interessati hanno la facoltà, e non l\'obbligo, di avvalersi dei moduli predisposti dall\'amministrazione; la ricorrente ha reso effettivamente una dichiarazione sostitutiva di adesione ai valori della Costituzione, sia pure utilizzando un modulo diverso da quello predisposto dall\'amministrazione, per cui l\'amministrazione avrebbe dovuto ritenere assolto l\'obbligo previsto dalle delibere di giunta e di consiglio.

Anche quest\'ultima censura è infondata.

5.1. La ragione per la quale l\'amministrazione ha respinto l\'istanza della ricorrente non risiede nel fatto che la dichiarazione non sia stata resa utilizzando il modello predisposto dall\'amministrazione, ma nella circostanza che il suo contenuto non corrispondeva a quanto richiesto dall\'amministrazione, non contenendo, in particolare, né il ripudio del fascismo e del nazismo né l\'adesione della richiedente ai valori dell\'antifascismo.

6\. In conclusione, alla luce delle considerazioni di cui sopra, il ricorso va respinto.

7\. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8\. Attesa la manifesta infondatezza del ricorso, va respinta anche la domanda della ricorrente di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di Rivoli, che liquida in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri accessori.

Respinge la domanda della ricorrente di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

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Allegato 3


La sentenza della Cassazione n. 3806 del 2022

In una recente sentenza (n. 3806 del 2022 udienza 19/11/2021) 41 la Corte di Cassazione, in tema di manifestazioni usuali del partito fascista (saluto romano e intonazione della chiamata del presente) si è espressa per l'applicabilità della legge Mancino con una ampia ed esaustiva motivazione che analizza i precedenti giurisprudenziali, mette a fuoco i tratti comuni e differenziali delle due norme, applica il principio di specialità, evidenzia la presunzione insita nella legge Scelba circa il carattere discriminatorio e razzista della ideologia fascista e nazista. Nelle due norme comune è la condotta: ad esempio, in una pubblica riunione il saluto romano o la chiamata del “presente”; diverso (come si è più volte rilevato) è il pericolo paventato, in un caso la ricostituzione del partito fascista (o comunque l'adesione ad un progetto a ciò finalizzato), nell'altro raccogliere adesioni di un vasto pubblico in funzione di attività di propaganda e di istigazione per condotte discriminatorie razziali, etniche e religiose. Il pregio della sentenza in esame è che la Corte ha particolarmente evidenziato due aspetti di fondamentale importanza. Superando alcune ambiguità delle precedenti pronunce, è stata esplicita sul tipo di pericolo che in più punti della motivazione ha qualificato in termini di concretezza. Dunque, è necessario un pericolo concreto sia per la legge Scelba che per la Mancino. Ha rilevato la Corte che ” l\'interpretazione degli elementi normativi presenti nella disposizione dianzi citata («propaganda di idee»; «odio razziale o etnico»; «discriminazione per motivi razziali») deve essere compiuta dal giudice tenendo conto del contesto in cui si colloca la singola condotta, in modo da assicurare il contemperamento dei principi di pari dignità e di non discriminazione con quello di libertà di espressione, e da valorizzare perciò l\'esigenza di accertare la concreta pericolosità del fatto“. Un altro punto significativo della motivazione attiene alla chiara esplicitazione del criterio di scelta tra le due norme individuato nel principio di specialità 42 di cui all'articolo 15 c.p. : “La selezione tra norma generale e norma speciale opera, dunque, a livello di concretezza del pericolo che, nel caso della legge Scelba, riguarda la ricostituzione del partito fascista, mentre, nel caso della legge n. 205 del 1993, abbraccia ogni concreto pericolo di diffusione di idee basate sulla discriminazione, l\'odio razziale ecc., sicché, ove manchi il pericolo di ricostituzione del partito fascista, la pubblica manifestazione simbolica della ideologia fascista deve essere apprezzata quale violazione dell\'art. 2 I. n. 203 del 1993”. Afferma inoltre la Corte, sempre invocando il concetto di concretezza: “una volta chiarito che, per entrambe le fattispecie, è necessaria una concreta idoneità della condotta, è utile precisare che sussiste una ipotesi di specialità ex art. 15 cod. pen. della seconda fattispecie (art. 5 I. n. 645 del 1952) rispetto alla prima (art. 2 I. n. 205 del 1993). Rileva, inoltre, la Cassazione che la legge Mancino del 1993 oltre ad introdurre l'art. 2 ha anche emendato la legge Scelba (in particolare l'art. 4) il che evidenzia che il legislatore, che ha mantenuto in vigore la menzionata legge Scelba, era ben consapevole del tenore letterale delle due norme (art. 2 legge Mancino e art. 5 legge Scelba) che evidentemente ha ritenuto soloapparentemente omogenee ma in realtà diverse atteso che solo la legge Scelba richiede il rischio di riorganizzazione del partito fascista che è invece assente nella legge Mancino. Un altro apprezzabile profilo di chiarezza della sentenza in esame è dato dalla considerazione relativa alla presunzione, per la legge Scelba, iuris et de iure che le organizzazioni e i movimenti neofascisti hanno una ideologia discriminatoria e razzista, finalità queste che quindi non devono essere provate contrariamente alle organizzazioni non nominate di cui alla legge n. 654 del 1975 (ora 604 bis c.p.). L'art. 4 comma 2, in riferimento alla apologia del fascismo, dispone infatti che “se il fatto riguarda idee e metodi razzisti la pena è della reclusione da uno a tre anni e della multa da uno a due milioni”. E' stato giustamente rilevato 43 che il ricorso ”“forse non proprio ortodosso”, alla legge Mancino, anziché alla Scelba, per sanzionare le manifestazioni usuali fasciste potrebbe essere stato determinato dal fatto che la legge Mancino consente l'applicazione del c.d. DASPO e non ha subito interventi manipolativi della Corte Costituzionale per cui l'accertamento del reato sarebbe più agevole. Dinanzi, quindi, al sospetto che il ricorso alla legge Mancino sia una sorta di escamotage (uguale e contrario all'interpretazione che di fatto rende ineffettiva la legge Scelba stante l'improbabile prova del pericolo concreto di riorganizzazione del partito fascista) per facilitare l'accertamento del reato sul presupposto che il pericolo richiesto sia astratto, bene ha fatto la Cassazione in quest'ultima sentenza a chiarire con fermezza che il pericolo richiesto anche dalla Mancino deve essere concreto.

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